Marco Consolo ci racconta attraverso il suo blog di un Venezuela che "deve"apparire in un certo modo di fronte ad un mondo che vuole un solo tipo di informazione. Pubblichiamo l'articolo che approfondisce la situazione di un Paese troppo spesso definita e vista in un solo modo.
Lo scrittore uruguayano, Eduardo Galeano, lo chiamava il mondo al
rovescio. E di questo si tratta. La rappresentazione mediatica del
Venezuela bolivariano è un manuale della guerra asimmetrica e di
terrorismo, armato e psicologico. La narrativa internazionale dominante
parla di una feroce dittatura, di un governo che imbavaglia i media, che
reprime a destra e a manca e provoca morti, che affama la popolazione
ed è responsabile della scarsezza dei beni di prima necessità e
medicinali, che opprime e di cui bisogna liberarsi al più presto.
Gli asini volano, gli uccelli sparano ai fucili, e le renne prendono
le redini della slitta con Babbo Natale per il prossimo tour. In
Venezuela, i padroni e la ristretta cerchia degli importatori senza
scrupoli imboscano i prodotti e fanno mercato nero, ma la colpa è del
governo affamatore. I “manifestanti pacifici” (ben armati ed addestrati
dai paramilitari colombiani) uccidono un poliziotto o qualche civile,
bruciano asili-nido, fanno sabotaggio, ma si tratta di un atto di
“legittima difesa”. I veri golpisti (del 2002 e non solo) accusano di
dittatore il legittimo Presidente costituzionale Maduro. Sono gli stessi
che, con i primi decreti del golpe, avevano abolito la costituzione.
Oggi se ne fanno scudo, senza averla né aperta, né capita davvero, un
po’ come con la bibbia di cui si dicono ardenti seguaci.
Gli assassini sono mascherati e rappresentati mediaticamente come colombe. I “good boys”
sono fedeli all’insegnamento di Goebbels, il ministro della propaganda
hitleriana: “La propaganda è un’arte, non importa se questa racconti la
verità…. Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e
diventerà una verità”.
Fake news, le post-verità. Travestita da giornalismo indipendente ed
obiettivo, l’industria del falso è al servizio della guerra. Il tam-tam
virtuale della propaganda di guerra galoppa negli algoritmi dei
latifondi mediatici, soffia sul fuoco di una lotta di classe che si
acutizza, ed è materia incandescente.
L’ultimo braccio di ferro tra i contendenti, c’è stato lo scorso 19 e
20 aprile ed entrambi hanno raggiunto i loro obiettivi minimi.
Il “chavismo” ha dato una nuova e potente dimostrazione della sua
capacità di mobilitare ed organizzare, nonostante i mille problemi
quotidiani che affronta la sua base sociale.
Gli avvoltoi della destra hanno cercato (e trovato) i morti a tutti i
costi (da fare o da farsi fare con cecchini compiacenti, come nel golpe
del 2002): servono per dare una immagine di un Paese sull’orlo del
baratro, dell’ingovernabilità, del caos, e a farla coincidere con quella
che gli spin doctors dei mass-media stanno disegnando
dall’estero, con l’idea di riscaldare l’ambiente per l’ingerenza
esterna, già pienamente operativa.
Nei due giorni di mobilitazione, nonostante gli sforzi, l’opposizione
non è riuscita a dare la “spallata finale”. Il golpismo ha bisogno di
una ulteriore escalation su vari fronti.
Sul fronte di massa, deve mantenere un’attività di piazza abbastanza
forte e prolungata da presentare al mondo un quadro “ucraino”, ma ancora
non ci siamo.
L’opposizione rischia un errore che può costarle caro. A differenza
del gennaio 2002, quando iniziarono ad accumulare forze per dare il
golpe dell’11 aprile (con l’appoggio statunitense e di diversi governi
europei), oggi sono ben lontani dal riuscire a mobilitare i numeri su
cui contavano nei mesi di preparazione del golpe di aprile. Perché ?
L’opposizione ha un grave problema, che non aveva nel 2002: è divisa al
suo interno, senza unità di criteri tattici e senza il controllo di
massa del passato. La destra “criolla” venezuelana (obbligata a stare insieme) è litigiosa per natura e questo gli impedisce di avanzare con una strategia solida.
Allo stesso tempo, la presenza di settori violenti e fascisti all’interno della Mesa de Unidad Democratica
(MUD), e che spesso ne dettano l’agenda, non favorisce certo
l’accumulazione di una massa critica sufficiente a mettere in scacco il
governo. Viceversa, questi settori si stanno logorando in una tattica “foquista”,
che disperde le forze e non può prolungarsi all’infinito, anche se i
dollari non mancano e si può reclutare la criminalità organizzata, come
già sta avvenendo.
Insieme alla mobilitazione di piazza, la destra cerca di dividere le
Forze Armate, incitandole a ribellarsi, senza che fino ad ora si vedano
risultati, neanche parziali. Ma la cospirazione continua e sperano di
poter comprare qualche alto ufficiale, come nel passato.
In questa fase, la destra ripete l’appello agli Stati Uniti a
intervenire militarmente (cosa che in Italia, negli Stati Uniti o in
qualsiasi paese occidentale sarebbe punito minimo con il carcere, per
complicità con una potenza straniera e tradimento alla Patria) e sembra
dipendere da decisioni esterne. Ma la probabilità immediata di un
intervento militare esterno non è chiara, anche perché l’imperialismo sa
che in Venezuela incontrerebbe una dura resistenza. Donald Trump,
moderno dott. Stranamore, non crede nel “soft power” di Obama
ed ha già attizzato il fuoco con i bombardamenti in Siria e Afghanistan.
Ma in Venezuela non si tratta solo di lanciare una batteria di missili o
una superbomba a migliaia di chilometri di distanza.
La dissuasione “chavista”
La scommessa sul dialogo politico tra il governo e la MUD, con
l’appoggio di Papa Francesco e di alcuni ex-presidenti non è ancora
persa del tutto, anche se la pace sembra ancora lontana.
Ma con questi venti di guerra, il messaggio dissuasivo che il
“chavismo” invia alle piazze e al mondo, è il suo rafforzamento militare
e l’organizzazione della Milizia popolare (il governo parla di 500.000
miliziani).
La Ministra degli Esteri colombiana, María Ángela Holguín, ne ha
parlato “preoccupata” con il Segretario Generale dell’ ONU e la Corte
Internazionale dei Diritti Umani si è espressa nella stessa direzione.
Ma non c’è da meravigliarsi per gli attacchi contro la Milizia, che
vengono sia da dentro, che da fuori del Paese. Non c’è cosa che
preoccupi di più lor signori e gli oligarchi, di un popolo ribelle ed in armi.
Oltre alla mobilitazione della Milizia, la prova di forza della
piazza si somma ai fattori di dissuasione del processo bolivariano, nei
confronti di minacce esterne di intervento. Il ““chavismo”” può contare
sulla gran parte delle Forze Armate, nonché su di una forza miliziana
con il morale alto, disposta a combattere e che potrebbe crescere in un
momento critico. Come spesso ricordava il Comandante Chavez, è una
importante differenza col Cile di Allende del 1973. Per il resto, il
Venezuela di oggi è la fotocopia modernizzata di quella spirale che
portò al golpe cileno.
Il “chavismo” non ha altra alternativa che mantenere presenza nelle
piazze e disputarle alla destra. Ma non c’è dubbio che, tra i talloni
d’Achille, vi sono la situazione economica e la mancata diversificazione
dell’economia, che pesano come un macigno sul processo bolivariano.
Inutile nascondersi dietro un dito.
La destra in un vicolo cieco
La destra, da parte sua, punta sull’ingovernabilità mentre continua a
costruire lo scenario internazionale, tappeto su cui far marciare le
truppe di intervento in un ipotetico futuro. Siano esse armate,
uni-laterali, multi-laterali, mercenarie, paramilitari, diplomatiche o
qualsiasi tra le diverse opzioni che l’imperialismo ed i suoi alleati
hanno utilizzato nella storia. La Casabianca non scarta nessuna
possibilità, dopo aver dichiarato il Venezuela “una minaccia inusuale e
straordinaria alla sua sicurezza”.
Sul fronte diplomatico, l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA)
ha rinverdito i suoi fasti golpisti da “ministero delle colonie” di
Washington, grazie al suo Segretario Generale, l’uruguaiano Luis
Almagro. Non perde occasione per alzare l’asticella della provocazione,
anche con veri e propri golpe all’interno dell’OEA, che ne evidenziano
la pratica e la volontà golpista. Colpito da una preoccupante sindrome
ossessiva contro il Venezuela, Almagro è la cerniera tra i voleri di
Washington ed i governi della destra continentale.
Solo negli ultimi giorni ci sono stati prese di posizione “contro la
repressione” del Perù e del Costa Rica, ed una nuova dichiarazione di
“preoccupazione” del Dipartimento di Stato. Dal canto loro, i cosiddetti
governi di centro-sinistra (Cile ed Uruguay, ma anche quello italiano)
seguono le stesse direttive dell’impero, alleandosi con la destra
cavernicola e sperando in futuri dividendi politici.
Qualche giorno fa, da Bogotá, El Tiempo (della famiglia del Presidente Santos) si è occupato di Venezuela in un suo velenoso editoriale: “È
da tempo che le linee rosse hanno iniziato ad incrociarsi
pericolosamente in Venezuela. Ma quello che è accaduto questo 19 aprile,
quando Nicolás Maduro ha represso ancora una volta brutalmente le
proteste contro il suo governo di migliaia di persone a Caracas ed altre
città del Paese, e ha liberato i suoi gruppi paramilitari conosciuti
come i ‘colectivos’, per fare attaccare e intimidire la popolazione
inerme, passerà alla storia come il giorno in cui il governo ha perso il
senno, per porsi in un punto di non ritorno. La dittatura è caduta
addosso ai Venezuelani”.
Il mondo al rovescio, appunto, con la destra reazionaria colombiana
che pretende di dare lezioni di rispetto dei diritti umani. Un Paese
dove si è consumata (e si consuma) una guerra civile da più di mezzo
secolo, dove la repressione ed i troppi massacri hanno costretto
l’opposizione a prendere le armi e trasformarsi in guerriglia per non farsi semplicemente
sterminare. Dove la violenza è stata storicamente lo strumento per
l’accumulazione originaria e la guerra ha prodotto più di 6 milioni di
sfollati. Dove, secondo la Defensoria del pueblo, negli ultimi
14 mesi sono stati assassinati 120 difensori dei diritti umani, e ci
sono stati 33 attentati contro dirigenti sociali. Dove traballa il
processo di pace con le FARC, visto che il governo non rispetta gli
accordi di pace. Da dove solo nel 2017, sono scappati circa 30.000
colombiani verso la “dittatura” del Venezuela, che si aggiungono ai 5,6
milioni già nel Paese.
Sul versante dell’impero, l’attacco è affidato al New York Times: “Nei
giorni scorsi, il Presidente del Venezuela Nicolás Maduro ha ordinato
di disperdere le moltitudini di manifestanti che protestano nel suo
paese, con una pioggia di proiettili di gomma e gas lacrimogeni che gli
agenti delle forze di sicurezza tiravano dagli elicotteri. Il governo ha
anche utilizzato miliziani vestiti da civili per disanimare i
manifestanti con l’obiettivo di farli desistere dal protestare nelle
strade”. L’immaginazione al/del potere.
L’editoriale del NYT mette a nudo (e sotto tutela) le divisioni della destra: “…
il governo di Maduro ha avuto un successo considerevole in altri
momenti di agitazione… Ma questa volta, potrebbe essere diverso, se i
gruppi oppositori si mettono d’accordo su una lista di obiettivi
concreti e stabiliscono una strategia chiara per affrontare i problemi
del Paese con l’aiuto della comunità internazionale”. Il NYTconosce bene i suoi polli, o meglio i suoi “troppi galli nel
pollaio”. Sono litigiosi, non si mettono d’accordo, e sono tutti a
carico del contribuente statunitense, senza risultati alla vista. È il
problema principale e storico dell’opposizione e per risolverlo non sono
serviti né i dollari, né i consigli degli abbondanti “consiglieri” di
Washington.
Fa capolino ancora il fantasma della violenza e su questo cammino non
c’è più ritorno. La destra è in un vicolo cieco: non gli interessa né
il referendum revocatorio, né convocare elezioni, né tantomeno sanare
l’illegalità dell’attuale Parlamento (con deputati dell’opposizione
eletti grazie ai brogli). Il suo obiettivo è creare un conflitto che la
porti alla presa del potere, al di fuori della costituzione e delle
attuali leggi. Perché in uno Stato di diritto non può privatizzare
PdVSA, l’impresa petrolifera di Stato, non può cancellare i contratti
che creano imprese miste con la Russia, la Cina, l’Iran, Cuba, etc., né
tornare ai “bei tempi”, in cui le multinazionali statunitensi pagavano
la ridicola cifra dell’1% in royalties petrolifere.
Per far questo, nel 2002, il decreto golpista del Presidente della
Confindustria locale, Pedro Carmona (ribattezzato popolarmente “Pedro il
breve”, per la durata di poche ore del golpe) puntava proprio a quello:
abolire la Costituzione e tutti i poteri istituzionali. Gli attuali
dirigenti della destra vendepatria cercano di assaltare la diligenza, per poi ricevere le cospicue tangenti che le multinazionali del petrolio sono disposte a pagare per controllare PdVSA e la Fascia
Petrolifera dell’Orinoco (con le più grandi riserve mondiali provate), e
infine godersi la pensione in qualche Paese del “primo mondo”. Meglio
se a Miami, dove sono di casa.
Fino a dove potranno arrivare senza ottenere rapidamente i risultati
sperati ? Per ottenere questo, bisogna sbarazzarsi della Costituzione,
delle leggi, del governo, del Tribunale Supremo di Giustizia, della
Procura della Repubblica, etc. Al momento, l’unica maniera di riuscirci è
attraverso un governo fantoccio nominato dopo una invasione.
Con visione profetica, el libertador Simón Bolívar sosteneva già nell’agosto del 1829 che “…gli Stati Uniti sembrano destinati dalla Provvidenza a piagare l’America di miseria in nome della libertà
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