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martedì 31 luglio 2018

TESTE TONDE TESTE A PUNTA

Nel 1932 Brecht  realizzo' la commedia Teste tonde teste a punta , un triste periodo dove si assiste al passaggio dalla Repubblica di Weimar al Terzo Reich.
"In un paese immaginario, in piena crisi economica, la rivolta della gente ormai alla fame rischia di travolgere il Potere. I ricchi possidenti trovano una soluzione  : distrarre il malcontento popolare dalle sue vere cause trasformando lo scontro di classe in scontro razziale. Cosi' avviene lo scontro fra le due etnie Teste tonde da una parte e Teste a punta dall'altra Alla fine l’obiettivo sarà raggiunto: i ricchi di nuovo saldamente al potere ed il popolo più oppresso di prima."
In una commedia del 1932 ritroviamo l'attualità dell'oggi.
Ogni giorno assistiamo ad episodi che richiamano al razzismo piu' feroce e l'attuale mondo politico sdrammatizza, ci viene detto di non strumentalizzare il razzismo evitando di soffermarsi su un qualcosa di grave, una scintilla pronta ad esplodere ed il boom  in un attimo. Sdoganare certe coscienze violente è semplice, altrettanto è un attimo per scatenare la caccia all'umano "diverso" sia per colore che per comportamento. Lo si dice ormai da anni, da anni gli scenari europei mostrano una nostalgia verso un passato abbastanza recente, eppure durante ogni crisi l'elettorato civile,le cosiddette brave persone  che rispettano le leggi e pagano le tasse, amano eleggere personaggi che convincono solo perchè hanno a portata di mano la soluzione piu' semplice, coloro che reprimono e risolvono nello stesso tempo.
L'avvento di un nuovo fascismo già apparso nel mondo lavorativo attraverso uno sfruttamento giovanile sempre piu' accentuato, giunge sino ad evidenziare quale sia lo scontro delle diversità:io ero qui prima di te che sei emigrato, io ho piu' diritto di te a ricevere un lavoro e una casa, IO vengo prima, IO sono italiano.Lo slogan è sempre lo stesso, il disco rotto che continua a puntare il dito e a creare emarginazione. Si puo' fermare? Un certo tipo di elettorato come i pentastellati ne è contento? Va fiero di un alleato che ha a cuore solo il bene degli italiani e non osa nemmeno parlare di rimpatri?E' orgoglioso di tutto quanto sta accadendo?

"Segavano i rami sui quali erano seduti.
E si scambiavano in gran voce le loro esperienze
di come segare piu’ in fretta,
e precipitarono
con uno schianto,
e quelli che li videro scossero la testa segando
e continuarono segare.”

B. Brecht 

lunedì 30 luglio 2018

LA CONTRACCEZIONE E' UN DIRITTO !

Estate significa vacanza, divertimento soprattutto per le giovani generazioni. Non esistono spot pubblicitari, o siti informativi che invitino oppure   indichino strutture alle quali  i nostri giovani possano rivolgersi  per scegliere una contraccezione adeguata ad ogni situazione.Eppure soprattutto in questi momenti  l'importanza di un'adeguata educazione sessuale si fa particolarmente sentire. Un'argomentazione  che andrebbe affrontata in ambiente scolastico ,una grave mancanza a cui ancora oggi il nostro Paese sembra non voler far fronte . Un buon sistema scolastico dovrebbe provvedere ad informare le nuove generazioni, a renderle partecipi di quanto accade in periodi di grandi cambiamenti come l'adolescenza, cosi' se dall'ambiente scolastico non partono nuovi metodi di conoscenza non solo dal punto di vista sessuale ma anche nel  riconoscere altri modi d'amare ,non potremo mai affrontare a viso aperto problematiche come l'omofobia ed il femminicidio. 
Per quanto riguarda l'educazione sessuale il  consultorio  pubblico, rimane comunque  un punto di riferimento importante in qualsiasi comune, dove in genere vi è sempre uno spazio riservato ai giovani Un luogo dove il confronto con i terapeuti  frutta sempre buoni consigli. 
Oggi esistono svariati metodi per proteggersi da malattie devastanti come l'AIDS , di cui non si parla piu' ma che continua a mietere numerose vittime. Il preservativo è il SOLO contraccettivo che protegge contro le malattie sessualmente trasmissibili e dall'AIDS.
Oltre alla contraccezione piu' conosciuta pillola,spirale,diaframma,impianto sottocutaneo esiste la contraccezione d'emergenza CPC chiamata anche pillola del giorno dopo a cui si puo' ricorrere se il preservativo si è rotto, dopo un rapporto senza contraccezione o dopo l'utilizzo di metodi non sicuri. Per averla ci si puo' rivolgere direttamente in farmacia se si è maggiorenni mentre per le minorenni occorre la ricetta del medico o del consultorio.  
Il consiglio spassionato per tutte le giovani generazioni è quello di informarsi e di proteggersi.
Salute e contraccezione sono un diritto facciamolo nostro!

COME NASCONO LE BANDIERE?

Serena Campani ,insegnante del Giga Gruppo Insegnanti Geografia Autorganizzati,  ha curato la recensione dl libro di Geraldina Colotti-Dopo Chavez .Come nascono le bandiere che volentieri pubblichiamo

Come nascono le bandiere? Quale situazione è andata delineandosi in Venezuela dopo la morte di Chávez? Ce lo racconta Geraldina Colotti nel suo ultimo libro.
Di Serena Campani, Gruppo Insegnanti Geografia Autorganizzati.

Sono così oggi le nostre bandiere.
Il popolo le ricamò con amore,
cucì gli stracci con la sofferenza.
Con mano ardente conficcò la stella.
E tagliò, da camicia o firmamento,
l’azzurro per la stella della patria.
Il rosso, goccia a goccia, già nasceva.
Pablo Neruda, Canto General

E’ uscito lo scorso Febbraio, Dopo Chávez. Come nascono le bandiere, l’attualissimo libro di Geraldina Colotti, giornalista e scrittrice esperta di America Latina e di Venezuela in particolare, a cui è dedicato questo suo ultimo lavoro. Si tratta di un saggio che ripercorre le vicende del popolo venezuelano dalla morte del suo presidente Hugo Chávez, avvenuta il 5 Marzo del 2013, alle votazioni del 30 Luglio 2017 per eleggere l’Assemblea Costituente.
E’ composto da sei ricchi capitoli, più una parte introduttiva e una conclusione, dove l’autrice sottolinea il carattere in divenire della situazione venezuelana: nel momento in cui il libro andava alle stampe infatti si iniziava a parlare delle elezioni presidenziali che poi hanno visto riconfermato alla guida del paese, il 20 Maggio 2018, Nicolas Maduro.
Pagina dopo pagina il lettore viene catapultato oltre oceano e può percepire dalle sapienti parole della scrittrice tutto quell’amore che essa prova per la splendida terra venezuelana e per il suo popolo che sta portando avanti un percorso verso il socialismo dal 1999, quando Chávez ha assunto, previa elezione popolare, la presidenza del Venezuela.
In questi 20 anni molte cose sono cambiate: Chávez non c’è più e al suo posto governa Maduro, che forse non avrà lo stesso carisma del suo predecessore, ma che si è anche trovato a combattere con una congiuntura economica avversa – in cui il prezzo del petrolio è fortemente diminuito creando così danni all’economia venezuelana che su quello si basava- e con l’elezione del presidente Trump alla guida degli Stati Uniti, cosa che non ha certo giovato allo stato latinoamericano.
Si tratta di una narrazione che spazia dalla storia alla geopolitica, che propone riflessioni economiche anche complesse, ma sempre con quello stile che caratterizza Geraldina Colotti come la “voce chiara” dell’America Latina. Di forte impatto emotivo l’overture con lo struggente racconto della morte di Chávez, resa particolarmente coinvolgente grazie alle tecniche narrative utilizzate con maestria dalla scrittrice, che sa alternare momenti lirici a tono più asciutti ed essenziali quando si addentra in questioni più tecnico-economiche. Emerge un quadro complesso e articolato, in cui un paese ricco di risorse naturali si deve salvaguardare dallo sfruttamento delle multinazionali ma tenta al contempo di far decollare l’economia seguendo un percorso verso il socialismo che inevitabilmente lo pone in contrasto col sistema capitalistico globale. La Colotti entra in profondità anche in questioni di carattere ambientalistico –per esempio analizzando la situazione dell’Arco minerario dell’Orinoco- e affrontando la faccenda da molteplici punti di vista.
Si tratta quindi di un libro denso di riflessioni, e di informazioni che fanno scaturire tali ragionamenti e interpretazioni, di esperienze vissute in prima persona dall’autrice che trascorre diversi periodi dell’anno in Venezuela e che da anni segue da vicino il susseguirsi degli eventi.
Degna di nota infine l’amara constatazione della guerra “mediatica” in corso portata avanti da giornali e televisioni mainstream che, ponendosi in un’ottica palesemente filostatunitense, spesso distorcono le informazioni riguardanti le vicende venezuelane portando l’opinione pubblica verso rotte sbagliate.
Tutto è perfettibile e migliorabile, l'autrice ne è consapevole, e non manca di sottolineare aspetti su cui sarà necessario lavorare ancora a lungo, ma al contempo non può non dare l’appoggio ad un “proceso” che sta portando a miglioramenti sociali ed economici, nel campo dell’istruzione e della uguaglianza di genere e che si trova osteggiato pesantemente con l’embargo statunitense che non solo non permette di riconoscerne a pieno i meriti ma che lo danneggia deliberatamente.
“La libertà delle donne è la principale cartina di tornasole del livello raggiunto da una società”. Geraldina dedica pagine intense alla condizione della donna nella società venezuelana nel secondo capitolo al paragrafo Ni una menos, ni una mas. Ma la visione di genere che essa propone non ha nulla a che fare col femminismo di tradizione borghese. Si tratta al contrario di una visione di classe, che infuocherà gli animi delle compagne che avranno la possibilità di leggere questo scritto o di confrontarsi direttamente con la scrittrice su questo tipo di tematiche durante le presentazioni del libro in programma in tutta Italia nei mesi a venire.

domenica 29 luglio 2018

L' UMANITARISTICO TRAFFICO DI ESSERI UMANI DI R.MASSARI E F.KOWORNU



Pubblichiamo volentieri articolo apparso su Pisorno .it

Nel testo che segue non si parla quindi del fenomeno dell’immigrazione o degli «sbarchi» in quanto tali. Si parla del traffico internazionale di esseri umani e quindi del crimine contro ogni principio di umanità rappresentato dagli «imbarchi», punto terminale di una rete criminale internazionale. Questa è sempre esistita, ma si è rafforzata negli ultimi anni per ragioni che non sono sempre chiare avendo essa delle connivenze negli apparati statali dell’Italia e della Libia, in primo luogo, ma anche di Turchia, Spagna ecc., oltre ai paesi di provenienza. Per queste ragioni desidero dare la massima visibilità alla lettera che segue, di Fred Kuwornu, regista italiano di origini ghanesi, che dice con franchezza ciò che io penso da molto tempo e che le cifre dimostrano in maniera inoppugnabile: vale a dire che tutta questa storia umanitaria degli imbarchi/sbarchi è gestita da mafie nazionali e internazionali come traffico di esseri umani, una vera e propria «tratta» del XXI secolo.
Essa cominciò sfruttando l’emotività psicologica provocata dai primi naufragi di gommoni (e forte è il sospetto che essi fossero provocati ad arte) e proseguì come incentivo a un esodo di massa dall’Africa e dall’Asia, violando tutte le norme della civiltà, del rispetto della persona umana, della salvaguardia della vita, creando traffici di prostituzione e nuovo schiavismo, e danneggiando anche la condizione economica dei paesi di provenienza. So di essere colpevolmente in ritardo, perché da tempo era arrivato l’obbligo morale di gridare forte che tutti coloro che favoriscono in un modo o in un altro il commercio degli imbarchi sono complici più o meno preterintenzionali di questa rete criminale. Essa parte da paesi lontani come il Bangladesh (che è il secondo gruppo etnico per quantità di profughi in questa tratta camuffata da richiesta di asilo politico e proprio il Bangladesh sta a dimostrare che l’asilo politico non c’entra niente, è solo un pretesto), passa per l’Africa centrale e arriva alle sponde del Mediterraneo. Che queste cose le dica un intellettuale di origini ghanesi (e quindi africane) può forse aprire delle brecce nel cervello della presunta area «progressista» che con le sue campagne umanitarie sugli sbarchi non si rende conto di favorire gli imbarchi, col loro triste seguito di morti o di gommoni fatti affondare appositamente per suscitare la reazione umanitaria dei media.

Questo non significa che non si debbano accogliere tutti coloro che riescono ad arrivare sulle coste italiane: ciò è fuori discussione.

Ma significa che se non si vuole essere moralmente corresponsabili delle morti per annegamento e del traffico criminale che si svolge prima e dopo gli sbarchi, si deve impedire che avvengano gli imbarchi, si deve cioè intervenire duramente e prima di subito nei luoghi in cui ha origine la tratta. Ma per farlo non c’è altra via che la distruzione fisica delle imprese criminali che gestiscono il traffico…

Aggiungo che il governo attuale non dice nulla sulla politica dei rimpatri.

Questa è non solo cinica barbarie (visti, al di là di altre considerazioni, anche i sacrifici finanziari e rischi della vita che hanno corso queste povere vittime del traffico di esseri umani), ma non si dice al contribuente che il costo medio unitario per ogni rimpatrio si aggira intorno ai diecimila euro (incluso il ritorno in prima classe in aereo dei due agenti di scorta previsti per ogni povero diavolo rimpatriato)…
Per centinaia di milioni di persone, il sogno di abbandonare l’Asia e l’Africa per raggiungere l’Europa è antico quanto il colonialismo che ha impoverito questi continenti. Ma non è antico, anzi è recentissima, la costruzione di una rete internazionale che dietro il versamento di cifre altissime per la povera gente che le paga, e a rischio della vita sui barconi, riesce a far entrare masse di migranti in Europa, senza passare per le dogane, gli aeroporti e senza documentazione. Agli inizi venivano chiesti dalle mafie del traffico almeno 1.000 euro a persona (cioè una cifra mostruosa per i poveri d’Asia e d’Africa), ma ora queste cifre sono in aumento (per il traffico dalla Grecia si parla di quasi 3000 euro) oltre alle estorsioni prima dell’imbarco di cui parla anche Fred Kuwornu. E chi dopo l’arrivo in Libia (dopo settimane o mesi di sofferenze) non le può pagare o non può pagare i supplementi richiesti, nell’impossibilità di tornare indietro può vedersi ridotto allo stato di schiavitù nei campi profughi libici e in altri lager gestiti da bande criminali e funzionari statali corrotti. La prostituzione femminile è spesso l’ultima possibilità che rimane per pagare le cifre richieste dai negrieri. E comunque è sempre la prostituzione cheattende molte di queste donne una volta «sbarcate» sulle coste italiane, quando vengono riprese in ostaggio da altre reti criminali legate alle stesse reti che le hanno trasportate.
La differenza con il sogno del passato di emigrare in Europa e la possibilità di realizzarlo concretamente è stata data a un certo punto dalla prassi di accettare gli immigrati purché arrivassero via mare, su barconi e altri mezzi di fortuna e non tramite permessi consolari, aerei charter ecc. È stata una mossa (non saprei dire fino a che punto voluta dal governo italiano di Renzi) che ha fatto credere a centinaia di milioni di persone che quella dello sbarco marittimo (camuffato da richiesta di asilo politico) fosse finalmente la porta spalancata a chiunque per entrare in Europa. È stata cioè una speranza rinfocolata artificialmente, quasi un invito a mettersi in cammino (dal Bangladesh, dal Medio Oriente, dall’Africa centrale ecc.) procurandosi con qualsiasi mezzo i 1.000 euro da pagare alle bande criminali e disposti ad affrontare i rischi del viaggio.

Con l’intervento delle Ong quei rischi si sono ridotti al minimo e quindi anche l’afflusso è cresciuto a dismisura.

In questo senso le Ong sono state complici «tecniche» della nuova tratta. E comunque ogni viaggio se lo facevano pagare profumatamente (si parla di almeno 240.000 euro a viaggio, ma ovviamente è difficile avere certezza sulle cifre, costi accessori, tangenti ecc.). Spero però che nessuno creda più alla buona fede di queste «agenzie di trasporti» che nulla hanno a che vedere con lo spirito originario delle Ong che in alcuni casi e in alcuni paesi ancora permane. Sulle illusioni di tanta povera gente hanno speculato le bande criminali e la filiera addetta al trasporto marittimo.

Il tutto perché la nostra «civiltà» italiana ed europea non consente che chi è desideroso di immigrare in Europa lo faccia con un volo charter da meno di 100 euro a testa, sbarcando legalmente e civilmente all’aeroporto di Fiumicino.

No, la bestiale ricerca di denaro, di lavoratori o lavoratrici da super sfruttare col lavoro nero, dnuova manovalanza da reclutare a traffici di ogni genere, fa sì che l’entrata possa avvenire solo pagando le bande criminali, solo rischiando la vita, solo consegnandosi ad altre bande criminali attive in Italia e in Europa. Questa differenza i benpensanti nostrani sembrano non capirla, ma io la ripeto: perché non si entra gratis e legalmente da Fiumicino, invece che pagando le mafie e illegalmente dal mare? Invece di lamentarsi indignati ogni volta che un tentativo di sbarco si conclude tragicamente, invece di pensare ipocritamente solo al dramma degli sbarchi, si cominci a pensare al traffico degli imbarchi e si risponda alla mia domanda (che tra l’altro la gente comune già si pone da tempo, ovviamente senza ricevere risposte dalla nomenklatura politica). Ponendosi quella domanda, si comincerà a capire la natura mostruosa del crimine rappresentato dal traffico di esseri umani e dalla rete degli imbarchi. La ex pseudo sinistra, divenuta nel frattempo semplice massa d’opinione progressista, è totalmente in malafede col suo piagnisteo su chi muore durante i viaggi organizzati dai trafficanti di esseri umani. Non avendo più ideali di emancipazione sociale in cui credere, si affida al buonismo umanitario che, come spesso è accaduto nella storia dell’umanità (dalle riserve con vaccinazione antivaiolo per i nativi americani all’odierno traffico assistito di esseri umani) serve solo a nascondere il senso di colpa individuale e collettivo nei confronti di Paesi che sono stati rovinati proprio dalle politiche colonialistiche, prima, e imperialistiche, poi, di quegli stessi Stati dei quali ora si vorrebbe diventare sudditi.

Il traffico di esseri umani, in risposta ad uno dei tanti articoli sull’immigrazione di Fred Kuwornu

  • Il traffico di esseri umani nel mondo frutta 150 miliardi di dollari alle mafie, di cui 100 miliardi vengono dalla tratta degli africani. 
  • Ogni donna trafficata frutta alla mafia nigeriana 60 mila euro. Trafficandone 100mila in Italia, la mafia muove un giro di 600 milioni di euro all’anno.

Nessun africano verrebbe di sua volontà, se sapesse la verità su cosa lo attende in Europa. Non mi infilo nell’eterna guerra civile italiana basata su fazioni e non contenuti, ma da afrodiscendente italiano e immigrato ora negli Stati Uniti credo sia arrivato il momento di parlare e trattare l’immigrazione, o meglio la mobilità, come un problema e fenomeno strutturale che ha vari livelli e non come uno strumento per fare politica o da trascinarsi come i figli contesi di due genitori che li usano per il loro divorzio come arma di ricatto.

Secondo stime dell’ONU ogni anno sono trafficati milioni di esseri umani con una stima di guadagno delle mafie di 150 miliardi di dollari di fatturato ripeto 150 miliardi (le allego la news di AlJaazera non de Il Giornale o il Fatto Quotidiano). Io non so se lei ha mai vissuto o lavorato nell’Africa vera e che Africani conosce in Italia, o se da giornalista si informa su testate anche non italiane, ma il traffico di esseri umani con annessi accessori vari (bambini, organi, prostituzione) non è un fenomeno che riguarda solo l’Italietta dei porti si o porti no ma è un fenomeno globale che fattura alle mafie africane, asiatiche e messicane 150 e ripeto 150 Miliardi di dollari all’anno. Questi soldi poi non vengono certo redistribuiti alla popolazione povera di questi paesi ma usati per soggiogarla ancora di più con angheriogni genere, destabilizzarne i già precari equilibri politici, reinvestirli in droga e armi.
Si è mai chiesto perché, a parità di condizioni di povertà e credenza che l’Europa sia una bengodi, quelli che arrivano da Mozambico, Angola, Kenya sono pochissimi, o quelli che arrivano dal Ghana (il Ghana che è il mio Paese d’origine ha un PIL del 7% e una situazione di assenza di guerre e persecuzioni) provano a venire? Perché esiste una cosa chiamata Mafia Nigeriana che pubblicizza nei villaggi che per 300 euro in 4 settimane è possibile venire in Italia e da lì se vogliono andare in altri Paesi Europei. Salvo poi fregarli appena salgono su un furgone aumentandogli all’improvviso la fee di altri 1000$, la quale aumenta di nuovo quando arrivano in Libia, dove gliene chiedono altri 1000$ per la traversata finale. Il tutto non in 4 settimane come promettono, ma con un tempo di attesa medio di un anno.
In tutto questo ci aggiungo minori che vengono affidati a donne che non sono le loro veri madri e che poi spariranno una volta sistemate le cose in Europa e di centinaia di donne che saranno invece dirottare a fare le prostitute, ognuna delle quale vale 60mila euro d’incasso per la mafia stessa. Solo trafficandone 100.000 verso l’Italia la mafia nigeriana muove un giro di affari di 600 milioni di euro all’anno. A questo si somma quello che perde l’Africa: risorse giovani. Ho conosciuto ghanesi che hanno venduto il taxi o le proprie piccole mandrie per venire in Europa e ritrovarsi su una strada a elemosinare o a guadagnare 3 euro all’ora se gli va bene, trattati come bestie, e che non riescono neanche a mettere ovviamente da parte un capitale come era nei loro progetti. E anche se desiderano tornare non lo faranno mai per la vergogna perché non saprebbero cosa dire al villaggio, non saprebbero come giustificare quei soldi spesi per arrivare in Europa, anzi alimentano altre partenze facendosi selfies su facebook che tutto va bene per non dire la verità, per vergogna, e quindi altri giovani (diciottenni, non scolarizzati) cercano di venire qui perché pensano che sia facile arricchirsi.

Che senso ha sostenere che questo traffico di schiavi e questa truffa criminale della mafia nigeriana, come quelle asiatiche in Asia, deve continuare? A chi fa bene? Non fa bene al continente africano, non fa bene al singolo africano arrivato qui perché al 90 per cento entra in clandestinità e comunque non troverà mai un lavoro dignitoso, non fa bene all’Italia, che non ha le risorse economiche e culturali per gestire e sostanzialmente mantenere tante persone che non possano contribuire, specialmente in un Paese dove il 40% dei coetanei di questi giovani africani è già senza un lavoro, e non fa bene neanche all’immagine che l’europeo ha dell’africano perché lo vede sempre come una vittima, un povero, un soggetto debole.

Questo da africano, ma anche essere umano, è l’atteggiamento più razzista che ci sia, oltre che colonialista, perché non aiuta nessuno se non le mafie e chi lavora in buona o malafede in tutto questo indotto legato alla prima assistenza. Con 5 mila dollari è più facile aprire una piccolattività in molti Paesi dell’Africa che venire qui a mendicare, e se solo fosse veramente chiaro e divulgato questo concetto il 90 per cento delle persone non partirebbe più probabilmente neanche in aereo per l’Italia. Specialmente chi ha forse la quinta elementare e 20 anni. Non è lo stesso tipo d’immigrazione di 30 anni fa dove molti erano anche 30enni, alcuni laureati, ma molti con diploma superiore e comunque trovavano lavori nelle fabbriche e in situazioni dignitose.
Non conosco la situazione delle ONG che si occupano dell’assistenza marittima, ma conosco benissimo quelle che operano in Africa e la maggioranza sono solo un sistema parassitario. Per i maggiori pensatori Africani e veri leader politici una delle prime cose da fare è proprio cacciare dall’Africa tutte le ONG perché seppure il personale che ci lavora è in buonafede, i giovani volontari, il sistema ONG serve a controllare e destabilizzare l’Africa da sempre, oltre che creare sudditanza all’assistenza, senza contare il giro finanziario di donazioni e sprechi fatti dalle ONG per mantenere dirigenti sfruttando l’immagine del povero bambino africano. Basta con questo modo di pensare controproducente, razzista e ignorante. Sarebbe curioso vedere qualcuna di queste ONG fare iniziative a Scampia mettendo nelle pubblicità le foto di qualche bambino napoletano. Siamo stanchi di questa strumentalizzazione che fate su questo tema per i vostri motivi ideologici o le vostre battaglie di fascisti o antifascisti sulla pelle di un continente di cui conoscete poco o che avete romanticizzato e idealizzato e che usate per mettere a posto la vostra coscienza o lenire i sensi di colpa del vostro status privilegiato. E’ ora di fare analisi serie e porre in campo soluzioni concrete vincenti, non di avvelenare i pozzi di un partito o dell’altro, perché chiunque vinca perde l’Africa.

Sarebbe bello un reportage di Edo State in qualche villaggio per capire a che livello di furbizia, cattiveria, fantasia criminale sono arrivati e scoprirete che forse solo trasportare e illudere un giovane analfabeta di vent’annni e la sua famiglia è il minimo che questa potentissima e sottostimata organizzazione criminale fa ogni giorno, sfruttando la disperazione e ignoranza delle gente di cui alcuni disposti a tutto, persino a vendere un figlio appena nato per 100 dollari. Se questo verrà tollerato ancora i rischi non saranno solo per l’Italia, ma anche per i Paesi Africani dove oltre al problema di dittatori si aggiungerà quello di Narcos del livello della Colombia di Escobar o del Messico di El Chapo con ancora più morti e sottosviluppo di quello che già c’è.

articolo da Pisorno.it

 

martedì 24 luglio 2018

CELEBRAZIONI A PADERNO RITO COSTOSO

Ogni Comune fa storia a se', cosi' se in quelli limitrofi chi si sposa con rito civile, vuole una cerimonia sobria con la presenza dei soli testimoni lo puo' attuare a costo zero ,in quel di  Paderno Dugnano non è possibile.
Qualsiasi scelta ha un costo pari a euro 150 sia per chi usufruisce della splendida Villa Gargantini, sia per chi opti per un'anonima stanza comunale. Ancora una volta i cittadini non hanno vie d'uscita devono sborsare denaro , altra problematica sono i riti funebri, esiste un piccolo luogo coperto dove officiare una cerimonia laica? Un posto che possa accogliere per qualche ora chi non è credente e che dovrebbe essere situato all'interno di ogni area cimiteriale?
Possibilità importanti a cui troppo spesso si ovvia con una sola soluzione .escludendo chi fa scelte diverse. 


La discriminazione spesso non viene percepita, neppure dai diretti interessati: più è radicata, meno è visibile.
(Tommaso Giartosio)




lunedì 23 luglio 2018

ELIANA COMO J'ACCUSE !!!

Riportiamo volentieri l'intervento di Eliana Como al direttivo nazionale  CGIL di oggi   23.07.2018


Prima di iniziare, ci tengo a dire una cosa che non c’entra con questa discussione. È avvenuta un po’ di tempo fa, ma aspettavo a dirla a voce alla segretaria generale ed è la prima volta che la vedo. Ho letto dei commenti disgustosi sulla nostra partecipazione – e in particolare sulla sua presenza – al Pride di Roma. Su una foto (bella!) di Susanna accanto a due gay, ho letto commenti pieni, non soltanto di omofobia, ma anche di misoginia.  E siccome penso che prima di tutto siamo una organizzazione di uomini e donne (per fortuna!), ci tenevo a dare a Susanna, di persona, la mia solidarietà.
Ora però ho cose un po’ più sgradevoli da dire. Nell’introduzione la segretaria ha detto che, di fronte alla situazione politica che stiamo vivendo abbiamo la straordinaria opportunità di fare migliaia di assemblee per parlare con i lavoratori e le lavoratrici. E ha detto che, tanto più in questa fase e con questo clima, è importante avere la più alta partecipazione possibile a questo congresso.
Guardate, io sono d’accordo, ma non mi torna qualcosa! Perché quello che vedo io, da quando è iniziato il congresso, ormai un mese intero, è esattamente il contrario: le assemblee proprio non si fanno (ci sono intere categorie e territori che dal 20 giugno non hanno fatto mezza assemblea) oppure si fa di tutto perché non ci si possa confrontare.
Allora, visto che la segretaria nell’introduzione ha lamentato che ci sarebbe da parte di chi sostiene il secondo documento “poco senso di appartenenza”, vi dico cosa invece non piace  me di quanto sta accadendo in questo congresso. E sono tante cose, credetemi, però – diciamo così – su alcune “sorvolo”.  Sorvolo non significa affatto che mi vanno bene. Ma solo che qui “sorvolo”… (si fa per dire).
Sorvolo, per esempio, sulle assemblee dello SPI convocate nelle sedi del PD. È accaduto a Genova e a Bologna.
Sorvolo su assemblee dove votano in migliaia con seggi aperti cinque giorni senza alcuna comunicazione alla commissione di garanzia. È accaduto a Roma, all’ospedale Bambin Gesù.
Sorvolo sulle assemblee spostate a blocchi di 10, tutte insieme. Non so per quale evento improvviso o imprevedibile, se non il fatto che si fossero segnati per partecipare i relatori del secondo documento. Dove poi mi segno io, salvo rare eccezioni, “rimandata a data da destinarsi”. È accaduto alla Fiom di Firenze.
Sorvolo anche sulla incredibile diversità di partecipazione: dove sono presenti i relatori del secondo documento (qualche decina di persone); dove noi non ci siamo, sono tutti presenti tutti e tutti votano.
Sorvolo anche sul fatto che non ho ancora visto – giuro! – una stampa del documento. Susanna, se i documenti brevi servivano a non distribuire le sintesi e consegnare invece i documenti interi, sappi che invece non si consegnano né gli uni né gli altri.
Sorvolo qui in questa sede. Ripeto, non perché sia disposta a lasciar perdere, tutt’altro. Minoranza sì, ma ingenui proprio no!
Il punto è che, sebbene sia relativamente più giovane di quasi tutti voi, non è il primo congresso che faccio. E peraltro li ho fatti tutti in minoranza. Anzi quasi tutti. Perché un congresso, quello del 2010, mi è pure capitato di farlo nella maggioranza della mia categoria (minoranza nella Cgil, ovviamente). Quando era la mia categoria a presentare un documento alternativo e a pretendere il rispetto della democrazia e della pari dignità. Anche se forse per qualcuno è storia così passata da esserselo dimenticato.
Lo sapevo che MAI ci sarebbe stata pari dignità nella presentazione dei due documenti. Che le CGT sarebbero state autoreferenziali, che ci sarebbero stati i seggi aperti per giorni. Non vengo qui a fare Alice nel paese delle meraviglie. Lo sapevamo anche quando abbiamo difeso nella commissione del regolamento la possibilità stessa che ci fosse un documento con il 3% del direttivo e si potesse presentarlo nelle assemblee. Vi ricordate, no? Discussione e regole che abbiamo tutti condiviso. Tanto che, piaccia o meno (e qualcuno non piace proprio), in questo congresso ci sono due documenti, perché quelle regole abbiamo condiviso.
Allora, sorvolo su tutto questo, ma non tollero (e non capirei come potreste tollerare voi) che quanto sta accadendo in questa prima fase del congresso va bene oltre la pure sacrosanta illusione della pari dignità dei documenti, perché si sta umiliando e mortificando un documento e con esso (cosa ben più grave) i compagni e le compagne che lo sostengono.
Non posso tollerare che si convochino assemblee congressuali in aperto contrasto con i delegati di fabbrica, programmandole durante il periodo di ferie, che sia il 31 luglio o il 4 settembre, come è accaduto a Firenze alla Gkn.
Non posso tollerare che un segretario generale si arroghi a tal punto del suo potere di convocare le assemblee da impedire di farle quando le propone il funzionario e i delegati, rimandandole chissà quando a settembre, quando probabilmente quei lavoratori saranno in cassa integrazione. Rispondendo come se niente fosse: le assemblee si fanno quando come e SE lo decido io. È successo alla Same di Treviglio, 18 delegati su 22, tutti dell’area e 600 iscritti alla Fiom.
Non posso tollerare che in alcune fabbriche di Brescia, i funzionari della Fiom possano a tal punto sostituirsi al padrone, dal mettersi loro a dire chi può entrare in fabbrica a fare l’assemblea e tenere fuori un COMPAGNO della stessa categoria ma di un territorio accanto, regolarmente accreditato presso la Commissione di garanzia. “Tu sei di Bergamo, cosa vuoi qui a Brescia”. Con il padrone disponibile a farti entrare e il funzionario Fiom che ti tiene fuori. Sostenendo poi in una lettera alla Commissione “oggi si sono presentati a fare il congresso PERSONE non meglio conosciute che si sono qualificati come relatori del secondo documento”. Estranei insomma. Parliamo di compagni del Comitato centrale della FIOM, del direttivo regionale della FIOM e persino del direttivo della CGIL Lombardia.
E, finisco, non posso tollerare che si possa dire a una compagna di questo direttivo nazionale che NON può andare a fare una assemblea congressuale nella catena di supermercati dove lei stessa lavora perché, per non si capisce quale strana regola inventata a questo congresso, si è annunciata solo 36 ore prima invece che 48 (ma anche qui, mica è l’azienda che fa problema, è la segretaria organizzativa). È successo alla Filcams di Bologna. E fin troppo garbata è stata la compagna da non forzare e pretendere di entrare lo stesso, per non creare tensioni di fronte ai lavoratori e alle lavoratrici. Come d’altra parte hanno fatto a Brescia, i compagni del secondo documento: fin troppo bravi a non raccogliere le provocazioni, nonostante siano stati pesantemente insultati e in qualche caso più o meno aggrediti. Ragione per cui, ve lo dico subito, non mi venite a dire (già alludeva a questo l’introduzione), che sono i nostri compagni a offendere o perdere la calma. Non me lo dite, perché talmente tanto è falso che per dimostrare che noi insultiamo, ho sentito che si citano comunicati non nostri, di organizzazioni politiche di cui proprio non rispondo. E si vede che se si citano comunicati di altri è proprio perché non si è trovato di meglio cercando tra i nostri documenti.
E non mi dite nemmeno: fai ricorso. Certo che lo faccio. L’ho già fatto! Ma il tema non è il regolamento, o meglio non è solo il regolamento. Il punto è politico. Risponde così anche la CGN, sul quesito che su questi episodi ho presentato e che, giustamente!, mi risponde esattamente che non può esprimersi perché il punto è politico, non regolamentare. Per questo lo porto qui a questo direttivo. Certo che il punto è politico, perché attiene al rispetto di compagni e compagne di questa organizzazione, indipendentemente dalla loro opinione. Non si tratta nemmeno della dignità di un documento! Si tratta di rispetto dei nostri compagni.
Lo dico soprattutto a te Susanna, visto che hai detto nell’introduzione che avremmo “poco senso di appartenenza”. Chi ha poco senso di appartenenza? Delegati che si prendono giorni di ferie per andare a fare assemblee nelle quali non li fanno nemmeno entrare oppure segretari che rispondono “si fa come quando e se voglio io” e si sostituiscono al padrone con “tu in questa fabbrica non entri perché non sei di Brescia”.
E saremmo noi ad avere “poco senso di appartenenza”?!!! Ma che dobbiamo fare più di così per dimostrare senso di appartenenza! Oppure “senso di appartenenza” significa che non dobbiamo avere una posizione differente da quella della maggioranza! Quello continuerò ad averla, finché le regole me lo consentiranno, non ci sono dubbi. Poi se volete, mi metto anche la spilletta della Cgil per dimostrarvi senso di appartenenza. Se me la regalate, la metto anche subito.
E guarda, Susanna, ho denunciato dei casi specifici, nominandoli per nome e per cognome. Tu nell’introduzione hai citato una condizione generica. Ti invito a circostanziare episodi che pensi violino il nostro senso di appartenenza. Se ci sono cosa di cui devo rispondere come prima firmataria del documento, sono disposta a farlo anche subito. Altrettanto però chiedo a te e alla segreteria di rispondere a quello che ho appena denunciato io.
Eliana Como

NON POSSIAMO TENERLI TUTTI !!!!!

Chi di noi non ha mai sentito dire in qualche luogo pubblico "non possiamo mica tenerli tutti !" , il classico disco rotto che non vuol andare avanti , lo sdoganamento dei famosi discorsi da bar è imperante ,ormai dopo anni ha trovato nel suo rappresentante piu' popolare una voce che ogni giorno tuona e abbaia contro chi arriva disperatamente da lontano. Non a caso i nostri media sono ferocemente attivi ad ogni minima riflessione, battuta o quant'altro pur di distogliere l'attenzione su gravi problematiche di sopravvivenza che il Paese ormai vive di diversi anni. 
Un governo che ancora non accenna a proporre politiche lavorative che aiutino e sblocchino situazioni incancrenite è quello che il popolo incantato ha voluto credendo a quel nuovo che prometteva un Eden difficile da trovare.
 I giovani continuano ad esser precari, forse ancor piu' di prima, gli anziani invecchiano nei posti di lavoro, altri vi muoiono, eppure nulla fa decollare una nuova poltica lavorativa  da cui ripartirebbe tutto. Dignità, diritti, sopravvivenza, cultura, sanità,umanità tutta roba vecchia da solaio. Difficile far cambiare idea a chi si rifugia nella tranquillità di quel piccolo orticello, immune da crisi, dove l'aria condizionata d'estate ed il riscaldamento d'inverno non mancano mai. Cosa vogliono tutte queste persone? Smettiamola di fare i buonisti, come se comportarsi umanamente fosse una colpa!
Riportiamo volentieri la riflessione di Stefano Galieni, la vera dimostrazione che fra i tanti "pour parler" da bar o da panchina ,esiste qualcuno che ha ancora bene in  mente chi siamo ,cosa vogliamo e cosa facciamo!


Non è bastato per Josefa - dichiara Stefano Galieni, responsabile Immigrazione di Rifondazione Comunista - Sinistra Europea - dover restare 48 ore in mare con la certezza di morire prima di essere soccorsa in mare dall'equipaggio di Open Arms, l'Ong in questo momento più odiata da Salvini & company. Ci voleva la solita fake news che riprendeva le sue unghie con lo smalto per sminuirne la tragedia vissuta. Per fortuna un'ottima giornalista come Annalisa Camilli dell'Internazionale, che ringraziamo, ha smontato l'ennesima bufala per denigrare chi ha osato salvarsi. Di insulti ne arriveranno ancora altri ma questa figuraccia è la cifra di un pensiero diffuso di cui la Lega e il M5S sono oggettivamente portatori e che è necessario smontare in ogni momento. Ed è necessario continuare a denunciare quanto avviene sulle coste libiche, con la responsabilità del governo italiano e della cosiddetta Guardia costiera libica. Per questo, come Prc, partecipiamo oggi al presidio indetto da numerose realtà a sostegno dei migranti che si ritrovano oggi alle 18 a Roma, davanti al Teatro dell'Opera per avvicinarsi al Viminale».

PAGINA RIMOSSA ANTIFASCISMO FASTIDIOSO?


Pagina rimossa”. E’ questo il messaggio che questa mattina gli amministratori della pagina Facebook dell’Osservatorio Democratico sulle nuove destre hanno visto comparire sulla loro pagina.
Circa 21.000 fan, la pagina è ormai punto di riferimento dell’Antifascismo nazionale, indagini, denunce, inchieste sull’universo dei rigurgiti neri che nostro malgrado rendono la Lombardia e l’Italia stessa un laboratorio dell’estrema destra.
E’ successo altre volte, ma ci hanno sempre segnalato quale fosse il post che violava, a detta loro, gli standard. Ma di solito la pagina è stata bloccata: questa volta risulta rimossa. E’ gravissimo”.

Profili “sospetti”

Che qualcosa di strano stesse succedendo, gli amministratori lo sospettavano. “Abbiamo notato diversi profili “strani” tra i nuovi like alla pagina. Profili senza foto o con nomi palesemente finti. Però abbiamo deciso di non bloccarli d’ufficio solo sulla base di un sospetto”.
Chissà che non siano stati proprio quei profili a organizzare una segnalazione di massa che ha portato alla rimozione della pagina. E tutto questo accade mentre i membri delle nostre redazioni in giro per l’Italia vengono continuamente minacciate/i.
Siamo Indignate/i.

Una valanga di solidarietà

Intanto però, è partita una vera e propria mobilitazione di solidarietà.
“In tante e tanti stanno scrivendo ad abuse@facebook.com per chiedere il ripristino della nostra pagina. Non avremmo voluto testarla in questo modo e sapevamo di avere intorno una buona comunità, ma davvero stiamo ricevendo una quantità incredibile di messaggi.  Non riusciamo neanche a gestirli tutti”.
Milano, 22 luglio 2018
La Redazione dell’Osservatorio Democratico sulle nuove destre.

sabato 21 luglio 2018

HAIDI E GIULIANO SIAMO CON VOI


Riproponiamo  lo scritto di Giuliano Giuliani.

"Domenica scorsa Il Manifesto ha pubblicato una lettera del capo della polizia riferita al G8 di Genova 2001, intitolata “ Una storia da raccontare per intero”. Ho provato a rispondere ma il giornale non ha pubblicato la mia lettera che, per chi ha pazienza, ripropongo qui."

"Ho letto con interesse la lettera del capo della polizia: sì, Genova 2001 è proprio una storia da raccontare per intero, cominciando dal fatto più grave, l’omicidio di Carlo Giuliani. E allora non si può non cominciare dalla vergognosa archiviazione, fondata sull’imbroglio dei quattro inaffidabili periti del pm Silvio Franz (sparo per aria e deviazione del proiettile verso il basso), imbroglio smentito non dalle chiacchiere ma dal filmato che riprende la scena. Neanche una parola sull’insensata manovra di quel reparto di carabinieri, sulla responsabilità di chi li comandava, sulla imboscata costruita con una fuga che faceva seguito a una inutile quanto infida manovra contro un gruppetto di manifestanti inoffensivi. Neppure una minima valutazione sul mancato intervento di un intero reparto a favore della jeep (bloccata solo dall’imperizia, se non dalla scelta, di chi la guidava), nonostante il rapporto di forze fosse di cento carabinieri contro trenta manifestanti, che avevano inseguito il reparto.
Sì, raccontiamola per intero la storia di Genova 2001. Valutiamo la cadenza dei tempi della giustizia e le differenze di valutazione da parte di chi è stato chiamato ad amministrarla. L’omicidio di Carlo viene archiviato, senza lo svolgimento di un processo quindi, nel maggio 2003. Si avviano invece i processi contro venticinque manifestanti, incredibilmente considerati i principali responsabili di quanto accaduto a Genova (presidiata da sedicimila appartenenti alle varie forze dell’ordine!), e anche quelli sulla Diaz e Bolzaneto. 
Le sentenze di primo grado colpiscono pesantemente i 25 manifestanti, mentre per arrivare a sentenze che affermino la responsabilità di alti dirigenti della polizia occorrerà attendere nel 2012 i responsi della Cassazione (a quanti consideravano l’operazione Diaz una “perquisizione legittima” la sentenza risponderà di atti che “hanno prodotto il degrado dell’onore dell’Italia nel mondo”). 
Ma in quel processo uno dei pm era Enrico Zucca, al quale rinnovo ancora una volta tutta la mia solidarietà. Viene accusato perché ha parlato di “torturatori”. Perché, solo per fare uno dei tanti esempi, non è considerabile una tortura manganellare ripetutamente in dodici un innocuo manifestante che scappando è inciampato ed è caduto per terra, come avviene in piazza Manin? 
Dico di più: è un atto da autentici delinquenti, intollerabile per chi, come me, ha partecipato alla fine degli anni settanta, insieme a tanti giovani poliziotti, alle lotte per ottenere che i poliziotti fossero considerati dei lavoratori, avessero diritto al sindacato, una autentica democratizzazione che liberasse la polizia dalla degradazione della “celere” scelbiana. Un atto che offende la “mia” polizia, per dirla come il compagno e coetaneo Arnaldo Cestaro, il primo a essere massacrato di botte alla Diaz, dove stava cercando di riposare. “Abusi”, per dirla con le parole del capo della polizia, che vanno sanzionati pesantemente.
Condivido il rifiuto di Franco Gabrielli di “continuare a rappresentare il G8 di Genova come una vicenda esclusivamente limitata alla Polizia”. Certo, c’erano anche i carabinieri, o meglio alcuni reparti dell’Arma responsabili delle violenze e dei misfatti compiuti nella giornata di venerdì 20 luglio. Lo ha detto esplicitamente la parte obiettiva della magistratura genovese che si è occupata dei tragici fatti, quando ha parlato di “cariche violente, indiscriminate e ingiustificate”, di atteggiamenti inqualificabili che hanno provocato scontri durissimi protrattisi per ore. Comportamenti per altro ben presenti ad alti ufficiali presenti a Genova. In una telefonata arrivano a dire che “ci sono problemi a concedere queste forze” (stanno parlando dei paracadutisti), “perché se escono quelli non si sa che c…. succede”! Resta amara la considerazioni che questi giudizi non hanno prodotto non dico una condanna ma neppure un’ammonizione: i carabinieri sono impunibili a prescindere, anche quando uccidono, come nel caso di Carlo, e questo è sicuramente uno dei problemi della nostra debole democrazia.
Grazie agli importanti ruoli ministeriali che gli furono affidati da Giuliano Amato e anche da Mario Monti, De Gennaro esercitò l’uso della promozione “a delinquere” degli alti gradi della polizia (Gratteri, Luperi, Calderozzi, Ciccimarra), che ebbero poi la condanna definitiva per i fatti Diaz (ricordo che l’atto più malvagio fu l’ordine dato a sottoposti di introdurre nella scuola due bombe molotov, che sarebbero servite a incriminare gli ospiti della scuola del reato di terrorismo).
Ma a Gabrielli vorrei ricordare che anche recentemente una promozione mi ha lasciato perplesso. Adriano Lauro è il funzionario che accompagna il reparto dei cc in piazza Alimonda, dove è protagonista di due episodi allarmanti: prima si cimenta nel lancio di sassi contro i manifestanti, poi attribuisce la uccisione di Carlo a un manifestante, “con il tuo sasso… tu lo hai ucciso, pezzo di m….”, completando così l’indegna azione di un carabiniere che con una pietra ha spaccato la fronte di Carlo agonizzante. Lauro è oggi questore di Pesaro.
Giuliano Giuliani

mercoledì 18 luglio 2018

IL CONFLITTO DEI GASDOTTI


Attraverso Andrea Vento insegnante e giornalista di Pisorno e coordinamento del Giga  pubblichiamo l'articolo di Alberto Negri sulla geopolitica del gas e dei gasdotti, argomento sottaciuto dalla stampa piu' conosciuta

Vertice Nato. Il gas fa esplodere le contraddizioni Usa-Europa

Geopolitica. Il conflitto dei gasdotti

Come si diceva un tempo, i nodi vengono al pettine. E il nodo sono gli opposti interessi tra Stati uniti, i partner della Nato e dentro la stessa Alleanza. Ma questa situazione la dobbiamo anche a Londra e Parigi che hanno sostenuto i piani Usa in Medio Oriente.
Per favorire Arabia saudita e Israele e distrutto nel 2011 la Libia, la nostra pompa di benzina. Non è un caso che il regno wahabita sia il più importante acquirente di armi americane e francesi, i due maggiori esportatori bellici del mondo: a Bruxelles Trump, per ragioni di equità, avrebbe dovuto chiedere non alla Germania ma ai francesi un aumento delle spese per la Nato perché al momento sono loro, e gli inglesi, che ci guadagnano di più a stare nell’Alleanza. I nodi vengono al pettine perché l’Europa (con Russia e Cina) dovrà affrontare tra poco la questione delle sanzioni all’Iran sul petrolio e i commerci con la Repubblica islamica. A Trump stanno a cuore due questioni: portare a casa l’accordo con la Corea di Kim (e qui gli serve un mano da Russia e Cina) e mettere in un angolo l’Iran come chiedono insistentemente Israele – il Paese più influente a Washington – e i sauditi.
All’Italia questo scherzetto americano con l’Iran potrebbe costare 27 miliardi di euro di commesse e un export di 1,7 miliardi l’anno. Altro che aumento delle spese per la Nato: qui ci possiamo permettere ben poco, per questo l’Italia deve attrezzarsi creando magari un’istituzione in euro ad hoc per aggirare le sanzioni Usa che da novembre congeleranno i pagamenti con Teheran. Vedremo se anche questa volta piegheremo come al solito la testa davanti a Usa e Israele.
Nella partita rientra la strategia del gas: l’Iran con il mega giacimento di South Pars a regime potrebbe fornire all’Europa gran parte del suo consumo annuale (500 miliardi di metri cubi). Questo è un argomento che infastidisce tutti perché è politicamente e moralmente imbarazzante: sotto la minaccia dell’atomica di Pyongyang si sdogana la Corea del Nord ma si esclude l’Iran che ha firmato un accordo sul nucleare nel 2015. Un messaggio devastante che irride la legalità internazionale.
La guerra di Siria voluta nel 2011 dalla signora Clinton con i suoi alleati turchi e arabi e appoggiata da Francia e Gran Bretagna era diretta tra l’altro a bloccare i progetti di pipeline iraniane sulle sponde del Mediterraneo. Ora l’Iran, secondo Paese al mondo dopo la Russia per riserve di gas, è stato regalato alla Cina che tra l’altro ha acquistato le quote dei giacimenti della francese Total nella repubblica islamica. Se l’Europa perde peso nel mondo lo deve alla sua insipienza.
L’Europa ha molti fornitori che possono concorrere a diminuire la quota di import di gas dalla Russia _ diversificare i fornitori è la prima regola dei Paesi consumatori _ ma gli Usa e gli stessi europei hanno fatto di tutto per distruggere questa possibilità. La guerra in Siria era diretta a fermare l’Iran, una guerra per procura contro il nemico di Israele, mentre quella in Libia voluta dalla Francia ha drasticamente ridotto la chance del gasdotto Greenstream con l’Italia: oggi il gas libico viene consumato quasi tutto all’interno.
Questi disastri nel Mediterraneo sono stati combinati non dalla signora Merkel ma da Obama, Sarkozy e Cameron.
Ora Trump vorrebbe che la Germania rinunciasse a realizzare il raddoppio del Nord Stream 2 anche in vista delle scadenze dei contratti con l’Ucraina per il gas russo. In sintesi Washington vuole imporre sanzioni a Mosca attraverso Berlino (aspettiamo notizie da Salvini che dopo aver battuto la grancassa oggi non dice nulla). Una partita spinosa che tende a separare il destino dell’Europa occidentale da quella orientale: i polacchi dal 2022 prenderanno il gas liquido degli americani. Un affarone visto che viene da 10mila chilometri ma che gli Stati uniti venderanno con lo sconto pur di coccolare Varsavia.
Gli Usa favoriscono il Southern Gas Corridor in Azerbaijan e Turchia, per portare il gas del Caspio in Europa e in Puglia entro il 2020. In parte per l’Italia, che ha già dovuto rinunciare al South Stream con Mosca (2 miliardi di commesse Saipem), è una buona notizia ma la portata di questa pipeline è di 10 miliardi di metri cubi l’anno, assai inferiore alle forniture di Russia, Iran, Libia, della stessa Algeria o in futuro dell’Egitto (Eni-Zhor) e delle contese piattaforme continentali di Cipro, Libano e Israele, Gaza. Con la Libia e l’Algeria abbiamo due gasdotti e le pompe di energia sotto casa, con evidenti benefici nell’interscambio bilaterale, ma dovremmo andare a prenderlo in Caucaso per fare un favore agli Usa: avrebbe un senso se Washington ci sistemasse la Libia, la pompa sotto casa, ma sappiamo che non è così.
Ma c’è di più. Si profila un nuovo scontro americano con Erdogan. Negli accordi tra Ankara e Mosca c’è la ripresa del gasdotto Turkish Stream che fa parte dell’intesa per sistemare la Siria nel Nord e mantenere al potere Assad. Cosa farà adesso Erdogan con gli Usa è un altro interrogativo interessante perché la partita siriana è complessa: Putin non può mollare l’alleato Iran sui due piedi, gli Stati Uniti e Israele ne chiedono il ritiro dalla Siria e lo strangolamento economico.
Lo slogan America First, dove rientrano interessi commerciali, energetici, militari, dazi e sanzioni, è una portata indigesta frullata da Trump in un miscelatore che tra breve servirà una maionese impazzita: e al tavolo, soprattutto al nostro, si pagherà un conto salato.

Stato​

COSTRUIAMO IL QUARTO POLO DELLA SINISTRA POPOLARE



Pubblichiamo il documento politico approvato al termine del Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – SE riunitosi a Roma 1l 14 e 15 luglio 2018.
Rifondazione Comunista per l’opposizione sociale e l’alternativa
Costruiamo il quarto polo della sinistra popolare
Con il risultato delle ultime elezioni e la nascita del governo si è aperta una fase inedita nella storia italiana. Siamo di fronte a un governo egemonizzato da un partito di destra che fa di razzismo e xenofobia il principale veicolo di consenso. Un governo che gode di un fortissimo sostegno popolare alimentato dal successo di M5S e Lega nel farsi percepire come forze “anti-sistema”, impegnate nella difesa dei ceti popolari contro l’establishment. In uno scenario che ricorda paesi come l’Ungheria, il dibattito è polarizzato tra un governo “populista” che non mette in discussione il neoliberismo e propone la flat tax e un’opposizione parlamentare che lo attacca da posizioni di destra economica. Uno scenario in cui è proprio l’opposizione il miglior alleato del governo.
La nostra opposizione non può che essere di natura radicalmente diversa da quella “macroniana” del PD, di Forza Italia e della grande stampa. Non dobbiamo avere nulla a che fare con chi difende le “riforme” antipopolari dei governi precedenti, il rigore dei conti pubblici e la fedeltà a UE e NATO e così facendo rafforza il consenso popolare verso questo presunto “governo del cambiamento”.  
Il rischio concreto è lo spostamento ulteriormente a destra del quadro politico e del paese con il consolidamento della saldatura degli elettorati di Lega e M5S.
La sacrosanta indignazione rispetto all’agenda politica disumana di Salvini richiede un’intransigente opposizione e nessun cedimento sul piano dei principi e dei valori. Ma l’opposizione per essere credibile non deve essere strumentale e tanto meno subalterna e al rimorchio del Pd che porta la responsabilità di politiche antipopolari che hanno suscitato un diffusissimo rancore persino verso la parola sinistra.  
IL QUARTO POLO
L’unica opposizione efficace rispetto a questo governo è un’opposizione sociale, radicale e di sinistra che imponga una diversa agenda rispetto a quella di Salvini e faccia emergere le contraddizioni della narrazione grillina.
La nostra opposizione deve sfidare i partiti del nuovo governo sul rispetto delle promesse elettorali sui temi sociali, dall’abolizione della legge Fornero al reddito di cittadinanza e alla lotta alla precarietà. Ma per fare un’opposizione efficace è indispensabile costruire una proposta politica e programmatica alternativa da rivolgere al paese. 
Per queste ragioni rilanciamo l’obiettivo di costruire un quarto polo della sinistra popolare, una necessità evidente a fronte della debolezza e della frammentazione – fino al rischio dell’irrilevanza -  che continua a segnare negativamente la situazione italiana nel panorama pur complesso e articolato della sinistra radicale nel resto d’Europa.
Si tratta di attrezzarsi per lanciare una vera e propria sfida per l’egemonia. Lo scarto tra le aspettative di cambiamento ed il continuismo delle politiche del governo, sempre più esplicito sul terreno delle politiche economiche e del lavoro, il carattere classista di misure come la Flat-Tax, aprono la possibilità di un’offensiva sia sul terreno sociale che rispetto alle contraddizioni crescenti in particolare del M5S, le cui difficoltà si sono evidenziate con chiarezza nel passaggio delle elezioni amministrative di giugno.
C’è dunque bisogno oggi più di ieri della costruzione di un polo della sinistra che, come abbiamo sempre detto, sia alternativo a tutti gli schieramenti in campo, che rifiuti radicalmente la riproposizione di alleanze con il PD, le riedizioni del cosiddetto centrosinistra, sotto nuovi titoli come il “fronte repubblicano”, o sotto eventuali nuove leadership, secondo le operazioni politico-giornalistiche periodicamente riproposte.
Per questo motivo Rifondazione Comunista ha avviato un percorso di incontri con i diversi soggetti di movimento, sociali, politici, culturali che possono essere interlocutori per questo obiettivo, percorso che intendiamo proseguire, rafforzare, estendere a tutti i livelli territoriali.  
Le stesse elezioni europee, che affrontiamo con l’obiettivo della ricomposizione di tutte le forze anticapitaliste, antiliberiste di sinistra, non devono essere affrontate secondo una logica meramente elettoralistica, ma con la volontà che esse costituiscano un passaggio per la costruzione del quarto polo, della sinistra che manca in questo paese. Oggi è necessario più di ieri, costruire uno spazio ed una soggettività politica ampia e credibile quanto rivoluzionaria e di rottura.
Il prossimo appuntamento delle elezioni europee sarà la scadenza in cui questa proposta possa concretizzarsi in una lista unitaria in Italia che raccolga tutte le soggettività di sinistra e di movimento che si collocano sul piano della critica radicale dei trattati europei e dell’UE. Con questo approccio Rifondazione Comunista lavora nel Partito della Sinistra Europea e nel GUE e sul piano nazionale.
L’obiettivo del PRC-SE è l’avvio di un largo processo che oltre a Potere al popolo coinvolga altre soggettività come Altra Europa, Città in Comune, Diem25, Dema, liste e esperienze locali, settori di movimento e della sinistra sociale e politica che sono interessati alla costruzione di un’alternativa ai poli esistenti e ad una prospettiva comune sul piano europeo ed anche nazionale. In questa direzione si sta sviluppando una positiva interlocuzione con l’esperienza napoletana di Luigi De Magistris a partire dalla comune convinzione che nel nostro paese c’è bisogno di una proposta di netta rottura sul piano programmatico e del profilo politico quanto capace di essere inclusiva e larga.
POTERE AL POPOLO
È in questo quadro che partecipiamo a Potere al popolo che consideriamo parte di questa prospettiva più generale.
Lavoriamo per lo sviluppo del progetto di Potere al popolo come movimento politico-sociale popolare, democratico, partecipato, aperto, plurale, inclusivo. Ci siamo impegnati in campagna elettorale a costruire “un movimento popolare che lavori per un’alternativa di società ben oltre le elezioni” dalle caratteristiche ben delineate nel “manifesto” della lista: “Noi vogliamo unire la sinistra reale, quella invisibile ai media, che vive nei conflitti sociali, nella resistenza sui luoghi di lavoro, nelle lotte, nei movimenti contro il razzismo, per la democrazia, i beni comuni, la giustizia sociale, la solidarietà e la pace (…) Un movimento di lavoratrici e lavoratori, di giovani, disoccupati e pensionati, di competenze messe al servizio della comunità, di persone impegnate in associazioni, comitati territoriali, esperienze civiche, di attivisti e militanti, che coinvolga partiti, reti e organizzazioni della sinistra sociale e politica, antiliberista e anticapitalista, comunista, socialista, ambientalista, femminista, laica, pacifista, libertaria, meridionalista che in questi anni sono stati all’opposizione e non si sono arresi”.
La costruzione di un movimento politico-sociale, che sappia valorizzare pienamente tutte le energie e le esperienze di militanza e attivismo che hanno risposto all’appello lanciato durante la campagna elettorale e ne sappia attrarre e sviluppare di nuove, non può che essere basata sulla partecipazione diretta. Il lancio della campagna di adesioni attraverso una piattaforma on line a Potere al popolo va visto come un passo verso la democratizzazione che abbiamo sempre sostenuto e che per noi deve accompagnarsi al metodo del consenso come modalità predominante di decisione e al ruolo centrale delle assemblee territoriali.
Come riaffermato nel documento conclusivo dell’assemblea nazionale di Napoli Potere al popolo “non è un partito ma vuole essere un movimento politico-sociale di alternativa dentro il quale convivono posizioni e culture diverse impegnate nella costruzione di uno spazio e un soggetto unitario”. Lo sviluppo del progetto non implica dunque lo scioglimento dei partiti e delle organizzazioni aderenti né il venir meno della loro autonomia e sovranità politica, programmatica e elettorale.
Invitiamo iscritte/i e simpatizzanti ad aderire e impegniamo tutto il partito, i nostri circoli e le federazioni ad attivarsi per stimolare le adesioni a Potere al popolo. Lo abbiamo fatto con L’Altra Europa, nel percorso del Brancaccio, in tante esperienze di liste locali. Per noi partecipazione e democrazia sono condizione per ricostruire una sinistra popolare e radicata nei territori.
Abbiamo la consapevolezza che Potere al popolo non può concepirsi come autosufficiente e non esaurisce il nostro progetto di costruzione di un polo della sinistra popolare alternativo a tutti i poli politici esistenti e neanche la soggettività unitaria e plurale della sinistra antiliberista e anticapitalista di cui ci sarebbe bisogno. Proprio per questo al suo interno sosteniamo – come in tutti gli altri luoghi unitari di cui siamo parte dall’Altra Europa alla Rete delle Città in Comune – una posizione radicale sul piano programmatico e di collocazione quanto contraria a ogni settarismo e autoreferenzialità.
Non ci nascondiamo difficoltà, incomprensioni, differenze, dissensi e in alcune realtà anche attriti. Rappresentano criticità evidenti la propensione di alcuni settori alla chiusura nelle interlocuzioni sul piano sociale, sindacale e di movimento, a non relazionarsi con altri percorsi, il concepire Pap come un nuovo partito piuttosto che come un movimento aperto e unitario, la propensione vetero-partitista a sovrapporre e contrapporre il simbolo di Pap alle esperienze di liste locali di alternativa al Pd. Ma non possiamo che giudicare positivamente l’attivazione di nuove generazioni e la riaggregazione di formazioni della sinistra anticapitalista e di un diffuso tessuto militante su un progetto non meramente elettoralistico ma che pone al centro lotte, vertenze, radicamento territoriale, mutualismo.
Si tratta di valorizzare le potenzialità positive senza negare i limiti esistenti, e avendo chiaro che il nostro obiettivo è quello di un quarto polo di sinistra e antiliberista di cui Potere al Popolo deve essere parte attiva, secondo l’orientamento assunto nel documento conclusivo dell’assemblea di Napoli.  
IL RILANCIO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA
Il nostro impegno unitario è diretta conseguenza del nostro essere comuniste/i e del dovere che sentiamo di ragionare non in termini di mera sopravvivenza ma rispetto alle necessità che la fase storica che viviamo impone.
La critica radicale del capitalismo, un punto di vista di classe, l’orizzonte del comunismo non appartengono soltanto una gloriosa storia passata da difendere. Continuiamo a chiamare comunismo “il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente” e a declinarlo nel confronto con le contraddizioni e le domande dell’attuale fase storica segnata dall’egemonia del capitalismo neoliberista e con la necessità di fare i conti con una vicenda storica secolare.
Continuiamo ad andare in direzione ostinata e contraria. La nostra cultura politica critica e aperta, le nostre elaborazioni programmatiche, l’esperienza e le energie del nostro corpo militante, la nostra attitudine non settaria, le nostre pratiche sociali e di movimento, non sono un residuo conservatore del passato.
Il programma di rilancio e rafforzamento organizzativo che abbiamo approvato nella riunione della direzione del 25 maggio 2018 nasce dalla consapevolezza delle difficoltà che viviamo ma anche delle opportunità e dei compiti che la fase che attraversano il paese e l’Europa ci pongono. C’è bisogno di un partito capace di tenere insieme diversi piani di iniziativa politica, sociale e culturale.
Non crediamo che la via di uscita dalle difficoltà della sinistra di classe e del nostro partito sia quella dell’autoreferenzialità e della chiusura identitaria. Non riteniamo che rappresenti una risposta né all’esigenza di ricostruire un largo schieramento di sinistra né di rilanciare un partito in grado di incidere nella realtà del paese la riproposizione del tema della presentazione del simbolo alle elezioni.
Sentiamo la responsabilità di lavorare alla costruzione di una proposta politica di alternativa. Per questo nelle prossime settimane proseguiremo con determinazione l’interlocuzione con tutte le forze e le soggettività della sinistra antiliberista, anticapitalista, ambientalista e di alternativa.
Il nostro Partito resta un patrimonio di cultura politica, di organizzazione e radicamento sul territorio, che è certamente non sufficiente ma indispensabile per la costruzione della sinistra antiliberista e per l’opposizione alle politiche della destra in Italia ed in Europa.
Occorre confermare e sviluppare l’iniziativa autonoma ed unitaria del PRC-SE, salvaguardandone la sovranità decisionale e proseguendo sulla strada delle indicazioni di riorganizzazione emerse a Spoleto, dando centralità alla direzione ed al coordinamento della nostra azione politica. Va data progressiva attuazione agli obiettivi emersi dal confronto e unanimemente condivisi anche predisponendo una prima calendarizzazionedi appuntamenti.
Va anche reso fruibile il materiale del dibattito della tre giorni, pubblicandone gli atti per la prossima Festa Nazionale.
Ribadiamo e rafforziamo il nostro impegno, in questi giorni, per la raccolta delle firme sulle tre LIP.
Le Feste in corso di svolgimento, come anche la ripresa dell’attività a settembre devono inoltre vederci impegnati in particolar modo:
- sul terreno del contrasto alle politiche di chiusura e razziste, omofobe e reazionarie del governo, che stanno incontrando una risposta significativa: dalle manifestazioni “Aprite i porti”, a quella del 16 giugno “Prima gli sfruttati”, alle “Magliette rosse”, alle tante forme di resistenza e mobilitazione in atto.  Molto importante è stata la riuscita dei Pride in tantissime città italiane.
- sul terreno dei diritti sociali e del lavoro: rafforzando l’iniziativa contro la Flat-Tax, lanciando una campagna per la reale abolizione della controriforma Fornero anche in connessione all’obiettivo della riduzione dell’orario di lavoro, e per l’istituzione di un vero reddito minimo, oltre che sul complesso delle politiche del governo.

martedì 10 luglio 2018

ANTIFASCISMO E MAGLIETTE ROSSE

Settimana scorsa la notizia , il flash-mob di tanti antifascisti che per quella giornata hanno organizzato un punto di ritrovo , un momento d'incontro indossando una maglietta rossa, per contrastare ma soprattutto ribadire  l'esistenza di una politica dell'accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà-
L'attuale governo oggi propone politiche di  NON accoglienza contrarie ai principi della nostra Costituzione.  Magliette rosse ed azioni concrete devono andare  di pari passo, come quella di Fabrizio Cracolici Presidente sez.Anpi di Nova Milanese, che oggi sta sostenendo un digiuno per sensibilizzare tutti coloro che non esprimono pareri sulle migrazioni.
Paderno Dugnano, dopo il flash mob in p.zza della Resistenza, con volantinaggio proseguirà il giorno  22 luglio alle ore 10,30 con banchetto ed aperitivo per ricordare il comandante Visone, Giovanni Pesce a cui la nostra città ha dedicato una via.
Giovanni Pesce non solo Gappista e Medaglia d'Oro al valor militare , scelse di intraprendere il proprio cammino politico  nelle file del Partito della Rifondazione Comunista , continuando sino alla fine la sua attività sia  politica che  di testimonianza sulla Resistenza e i suoi valori, riconoscendosi nelle posizioni dell'area Essere Comunisti. Ha cofirmato con  Claudio Grassi  la seconda mozione al VI congresso nazionale del  PRC (3-6 marzo 2005).
Negli ultimissimi mesi di vita fece in tempo ed ebbe la lungimiranza di manifestare il suo dissenso per la linea 'governista' e 'assessorista' del PRC di Fausto Bertinotti.
Il ricordo della figlia Tiziana Pesce verrà esposto durante la mattinata del 22 luglio 2018, a sostegno di valori concreti ed umani come quelli ereditati dalla nostra Resistenza



 

CITTADINI DEMOCRATICI UNIAMOCI!!!

Dalla pagina del Comitato per la Scuola Pubblica 

QUELLA TENTAZIONE AUTORITARIA A PADERNO DUGNANO.
CITTADINI DEMOCRATICI, UNIAMOCI!


Nascono come gruppi o pagine dove ci si scambia
informazioni, l'aria all'apparenza "neutrale", se pur una certa sospetta enfasi si intravede nell"insistenza sul concetto di "regolamento": un manifesto senza nessun valore legale, che viene partorito solo dalla fantasia di chi amministra e si sente il padrone della sua "creatura sociale".
L'unica ispirazione dell'attività sui social network dovrebbe però essere uno spirito sociale autentico e la democrazia.
Chi propone questi gruppi di discussione Facebook in realtà ha sempre uno scopo politico recondito: nel caso del gruppo Sei di Paderno se e delle sue successive metamorfosi: Paderno viverci o meglio morirci e morirci in silenzio, è sempre stato gestito da noti supporters della giunta azzurro-leghista.
Ospita infatti senza troppi problemi qualsiasi locandina pubblicitaria che provenga da liste tipo "Paderno Dugnano Cresce", credendo che la gente sia stupida e non sappia che questo è un gruppo nato in sostegno alla campagna elettorale della destra, vanta amicizie e presenze nel gruppo di consiglieri, assessori in maggioranza, però oggi gli amministratori hanno deciso una nuova (nel senso che non hanno mai perso l'abitudine) epurazione degli iscritti a colpi di ban.
Si sono viste simili scene rispetto alle vicende di Limbiate, allorché nel gruppo analogo del comune vicino ci sono state persone che criticavano la giunta Romeo, sempre rifacendosi a scuse sommarie varie di regolamenti infranti.
Tutto molto fumoso e oscuro, l'unica cosa evidente é che sta tornando la censura.
Nel mirino sono finiti i commenti di chi citava Salvini in senso critico e chi ha fatto notare che il razzismo è un problema di una certa importanza che meriterebbe di essere trattato su tutti i mezzi di informazione.
In compenso hanno raccomandato a chi frequenta il gruppo di occuparsi di pubblicità, del meteo e tuttalpiù della coda al supermercato.
Infatti l'aspetto più inquietante è il fatto che mentre giurano di "non fare politica" in realtà-guarda caso- respingono e ghettizzano il pensiero controcorrente rispetto all'attuale governo e amministrazione locale.
In tal caso Paderno non funziona, si respira un aria sempre più pesante a partire dalle Scuole dove tuona il comando: "non si fa politica". Non si deve fare la politica che non piace ad alcuni, quella opposta e'ben accetta.
Non fare politica, come qualcuno anche sul gruppo censore ha fatto notare, significa portare la città nell'oscurantismo e nella dittatura del pensiero unico.
In quanti non ci stiamo?

LIBERTA' DI SCELTA

Pubblichiamo un comunicato che abbiamo ricevuto da un comitato formato da svariate associazioni di genitori , a favore di una proposta di legge d'iniziativa popolare per la sospensione dell'obbligo vaccinale per l'età evolutiva:

"Ciao a tutti approfitto di questo spazio per raccontare che a Paderno Dugnano e in tutta Italia da circa un anno a questa parte c'è una lotta silenziosa, di cui pochi si occupano e i media parlano solo per tirare fango.

Si tratta di migliaia se non di milioni di genitori che si battono per l'abolizione dell'obbligo vaccinale previsto dalla legge 119/2017 dell'ex ministro Lorenzin.

Oggi siamo arrivati ad un punto di potenziale svolta. Il 2 luglio sono stati depositati in moltissimi comuni italiani, fra cui il nostro di Paderno Dugnano, i moduli per firmare la proposta di legge di iniziativa popolare per la sospensione dell'obbligo vaccinale in età evolutiva.

Dobbiamo arrivare a 50.000 firme in tutto il territorio nazionale, non sarà facile perchè il periodo di vacanze è sfavorevole, in più ben pochi sanno di questa iniziativa. 
Noi stiamo cercando di pubblicizzarla con le nostre forze, ma non è facile arrivare agli occhi e alle orecchie della gente con un tema così complesso.

Vi chiedo di andare a leggere la proposta di legge sul sito www.ionondimentico.it , dedicate qualche minuto per dargli anche solo un'occhiata, ve lo chiedono le famiglie danneggiate dai vaccini, che non hanno più parole nè mezzi per farsi sentire e far sapere che esistono, e soffrono.

Avete tempo fino al 2 agosto per andare a firmare nel vostro comune di residenza con il documento d'identità, o in qualsiasi altro comune con il certificato elettorale, oppure anche senza, basta che ci andiate!

Ringrazio tutti di cuore e spero di trovare tante firme solidali"

Movimento Free Wax 


venerdì 6 luglio 2018

L'IMMIGRAZIONE IN ITALIA TRA LE MISTIFICAZIONI DELLE DESTRE E I DATI DELL'ISTAT




dal giornale Pisorno art. di Andrea Vento del 1 marzo 2018

La sconcertante dichiarazione di Fontana, il candidato leghista alla presidenza della Lombardia, secondo la quale dovremmo “bloccare il flusso dei migranti perché mette a rischio la sopravvivenza della razza bianca” ha, non solo esaltato la malcelata matrice razzista del partito di Salvini ma anche le strategie manipolatorie del fenomeno migratorio finalizzate alla diffusione dell’odio interetnico da capitalizzare poi in sede elettorale.

Una breve disamina della situazione migratoria del nostro paese in base ai dati ufficiali forniti dell’Istat ad inizio gennaio risulta doverosa per ricondurre il fenomeno in questione all’interno di una cornice realistica e per scardinare la strumentale disinformazione che diffusa senza alcun filtro sui social media finisce per condizionare negativamente l’opinione pubblica nazionale e scatenare reazioni violente come la sparatoria di Macerata compiuta dal neofascista Luca Traini, non a caso candidato per la Lega Nord alle ultime elezioni municipali al comune di Corridonia.

Gli stranieri residenti ad inizio 2018 nel nostro paese ammontano, secondo l’Istat a 5.065.000 pari all’8.4% della popolazione, una quota inferiore rispetto a quella registrata nel 2016 nei principali paesi dell’Europa occidentale come Germania (10,5%), Regno Unito (9,5%) e Spagna (8,6%).
L’immigrazione per il nostro paese è un fenomeno recente rispetto agli altri paesi europei: i cittadini stranieri sono infatti passati da 1.341.209 del 2002 a 4.922.085 del 2014 ma da quella data e Fontana ed il suo mentore Salvini non possono non saperlo sono stabili intorno ai 5.000.000.

Gli immigrati che arrivano in misura decrescente (da 558.000 del 2007 a 130.000 del 2016) vanno ad incrementare l’esercito industriale di riserva non qualificato, evidentemente così prezioso per un sistema produttivo che, per uscire dalle secche post crisi in cui è ancora impantanato (il livello del Pil è ancora inferiore di oltre il 7% rispetto al picco di inizio 2008), ha puntato principalmente sull’export (nel 2017 +7,3% secondo l’Ice) guadagnando quote sui mercati internazionale facendo leva, invece che sull’innovazione tecnologica, sul basso costo dei prodotti, ottenuto grazie alla politica di contenimento salariale e di precarizzazione del lavoro.

Anche questi dati sfatano le “leggende” tendenziosamente diffuse sulla presunta competizione fra la manodopera italiana, più istruita e qualificata, e quella straniera, meno qualificata e disponibile per ogni tipologia di lavoro.
Dei circa 5 milioni di stranieri residenti, 2,5 milioni sono cittadini europei, di cui 1,5 comunitari e 1 milione di non comunitari, 1,1 milioni provengono dall’Africa, (700 mila nord africani e 400 mila sub sahariani), mentre 1 milione circa sono anche gli asiatici e 400 mila gli americani.
Cifre che smentiscono la suggestiva tesi dell’invasione in atto dall’Africa tramite i barconi, appurato che il numero di stranieri è stabile da 3 anni e che gli immigrati  africani sono appena il 20% del totale. Le principali ricadute positive interessano tuttavia l’economia e le casse dello stato: nel 2016 gli stranieri hanno prodotto 131 miliardi di ricchezza pari all’8,9 del Pil, sia tramite lavoro  dipendente ma soprattutto tramite le loro 675.000 aziende che hanno prodotto 102 miliarddi ricchezza.

Dal punto di vista previdenziale, i lavoratori immigrati hanno versato nel 2016 11,5 miliardi di euro di contributi e hanno garantito il pagamento di ben 640.000 pensioni agli italiani. L’IRPEF versata dagli stranieri nel 2016  era di 7,2 miliardi di euro, pari al 4,6% del totale.

Nel complesso lo stato fra quanto incassato dai cittadini stranieri e quanto speso per loro, compresa l’accoglienza e l’assistenza dei profughi, ha registrato un saldo positivo nel 2016 di 2,2 miliardi. Il fenomeno migratorio rappresenta dunque una risorsa importantissima per il nostro paese, oltre a costituire uno dei grandi fenomeni strutturali della nostra epoca che necessita di essere adeguatamente affrontato e governato.

Coloro che con false narrazioni strumentalizzano ad arte il fenomeno non fanno altro che diffondere xenofobia e razzismo che vanno ad alimentare il senso di insicurezza degli italiani. Chi grida “prima gli italiani” in realtà nei fatti mira a mantenere i privilegi delle classi dominanti e a mettere in contrapposizione i penultimi (gli italiani impoveriti dalla crisi) con gli ultimi (gli stranieri). Il trionfo del capitalismo e delle sue ipocrisie.