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giovedì 11 giugno 2020

11 giugno 1984. Muore Enrico Berlinguer






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36 anni fa, l’11 giugno 1984, Enrico Berlinguer moriva a seguito dell’ictus che quattro giorni prima l’aveva colpito durante il tristemente noto comizio di Padova, rimasto nella memoria collettiva non solo di chi quel 7 giugno lo vide improvvisamente accasciarsi sul palco di Piazza della Frutta, salvo poi riprendere il suo discorso.
Nonostante l’ictus che l’aveva colpito, Berlinguer portò infatti a termine il suo discorso, tornò quindi in albergo e qui si addormentò entrando in coma.
Non riprenderà più conoscenza. Di famiglia nobile di origini catalane, era nato a Sassari il 25 maggio 1922, un anno dopo la fondazione del Partito Comunista Italiano di Antonio Gramsci, sardo come lui.
“L’Unità”, lunedì 11 giugno 1984

“Enrico è morto” ci telefona una voce rotta e lontana. Sono trascorse 90 ore da quando in redazione arrivò la notizia del male che colpì Berlinguer e fermammo la rotativa per rifare, nella notte, il giornale con un annuncio terribile in un titolo nero, più nero degli altri. 90 lunghe ore vissute con ansia, come in tutte le nostre sezioni, come in tante famiglie.
Eppure sembra che sia sempre lo stesso giorno. E in questo giorno lungo è come se avessimo fatto un solo giornale con Berlinguer che parla e muore a Padova, e le sue parole arrivano a tutti e alla sua morte assistono tutti. Milioni di donne e di uomini hanno atteso i bollettini medici, hanno sperato, si sono attaccati ad ogni appiglio intravisto tra le difficili parole vergate dai medici che continuavano a ripetere un amaro messaggio.
La gente semplice di questo tormentato paese ha infatti avvertito il venir meno di un punto di riferimento forte e sicuro per la guida dell’Italia, per una sua rigenerazione morale, per la sua sicurezza democratica.
Ma questo hanno avvertito anche esponenti del mondo politico e della cultura di diverso orientamento, uomini che reggono responsabilità pesanti nel governo del paese ed uomini che a questo governo si sono opposti con risolutezza o con incertezze. Insomma, la Nazione tutta ha avvertito il pericolo che ai tanti vuoti già esistenti se ne possano aggiungere altri.
Il significato più profondo di questa perdita è stato riassunto del Presidente della Repubblica sia attraverso le sue dichiarazioni sia attraverso le espressioni del suo volto forte e dolente.
Eppure, nel momento in cui raccogliamo la notizia che ormai non era inattesa, avvertiamo che in queste ore qualcosa è mutato nel profondo delle coscienze e nei convincimenti degli italiani. Berlinguer, nelle ore della sua agonia, ha tragicamente ma fortemente riproposto valori essenziali che ognuno ha sentito nella propria coscienza prima ancora che nella mente. I valori, cioè, propri della battaglia politica, intesi come valori morali, civili, come la essenza stessa dell’uomo che si ritrova con altri uomini per ricercare e conquistare la pace, la giustizia, la libertà, la felicità di tutti e di ciascuno.
Con la sua morte, richiamando l’attenzione di milioni di uomini proprio su questi valori, oggi unanimemente ricordati, Berlinguer ha dato il suo ultimo grande contributo alla democrazia italiana. E si tratta di un apporto eccezionalmente drammatico se pensiamo agli ultimi anni della sua vita spesi in una lotta – non sempre compresa – contro il degrado della vita pubblica, la degenerazione dei metodi di governo, l’imbarbarimento della lotta politica.
Egli avvertiva con ansia e lucidità che tutto questo contribuiva a fare accumulare una carica esplosiva, suscettibile di far saltare l’impianto stesso della Repubblica. E le sue arditezze e le sue prudenze politiche devono essere lette in rapporto alle valutazioni che faceva sul tema centrale della vita e dello sviluppo della democrazia italiana.
Ma questo discorso sarà fatto compiutamente riflettendo sulla sua opera di dirigente del partito comunista. Di un partito che, proprio per questo, si è posto come un punto fermo, garante della democrazia italiana.
In questo momento la nostra mente ed il nostro cuore sono attanagliati da tanti ricordi e, su tutti, dal ricordo di un compagno caro, gentile, affettuoso con tutti.
Egli non è più con noi; non è con la sua Letizia, con i suoi figli che amava teneramente, col fratello, con i suoi cari tutti.
Non è più con i compagni di ogni città e di ogni contrada con i quali ha condiviso successi e sconfitte, gioie ed amarezze, delusioni e speranze in un combattimento incessante per l’avvenire, per una società migliore e più giusta, per un socialismo con il volto degli uomini di qualunque fede che vogliono essere più liberi ed uguali.