L'Osservatorio sulle Spese Militari Italiane ha pubblicato un' interessante articolo sull'andamento di spese che non paiono proprio ripudiare la guerra come cita l'art. 11 della nostra Costituzione:
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati,
alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri
la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo."
Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti,
ha sottoposto al parere del Parlamento l’ennesima lista della spesa per
nuovi armamenti: carri armati ed elicotteri da combattimento per
l’Esercito al costo di oltre un miliardo di euro, quasi tutti a carico
del Ministero dello Sviluppo Economico. Il primo programma riguarda l’acquisto di 50 carri armati ruotati supercorazzati ‘Centauro 2’ con cannone da 120 millimetri, prodotti dal consorzio Iveco Fiat al costo di 530 milioni di euro (spalmati su otto anni), di cui 160 milioni a carico del Ministero dello Sviluppo Economico
e 370 teoricamente a carico del Ministero della Difesa, che ricaverebbe
questi fondi grazie a non meglio specificate “preventive operazioni di
rimodulazione/revisione di altre spese”, fermo restando che “il
programma sarà completato anche con le risorse che sarà possibile
reperire da successivi provvedimenti normativi”, cioè ulteriori
contributi a carico del Mise.
Se a questi 530 milioni si aggiungo i
41,2 milioni già spesi dalla Difesa negli ultimi cinque anni per lo
sviluppo dei primi due prototipi di ‘ Centauro 2’, il costo unitario medio di questi nuovi corazzati da combattimento arriva a sfiorare gli 11 milioni di euro.
Una cifra altissima, non solo rispetto ai 2 milioni di euro del
‘Centauro 1’ e ai 4,4 milioni del carro armato ‘Ariete’ (entrambi mezzi
degli anni ’90), ma perfino ai 6,6 milioni degli omologhi blindati
‘Freccia’ (in servizio da pochi anni e ancora in fase di acquisizione).
Un prezzo elevatissimo, anche tenendo conto dell’inserimento dei costi
di “supporto logistico decennale” a carico del produttore.
Questi 50 carri, di cui 11 prototipi, costituiscono la “prima tranche” del programma
di acquisizione, la cui consistenza non è specificata nel documento
della Difesa. Stando a un’audizione parlamentare di oltre un anno fa del Capo di stato maggiore dell’Esercito Danilo Errico, il requisito finale dovrebbe essere 136 mezzi, 150 secondo altre fonti (per un costo complessivo di circa 1,5 miliardi).
Mezzi che si andranno a sommare ai 630 nuovi blindati da combattimento
‘Freccia’, 181 carri armati ‘Ariete’ e ‘Leopard’ e 200 carri ‘Dardo’
(per citare solo i mezzi pesanti).
Una forza corazzata certamente sovradimensionata rispetto alle esigenze
operative nazionali: solo pochissimi esemplari di questi mezzi sono
stati schierati in missioni estere, più a scopo di marketing che altro;
gli altri vengono cannibalizzati per i pezzi di ricambio o vengono
lasciati arrugginire nei depositi.
Perché allora tutti questi mezzi? “La
produzione estensiva di sistemi per il cliente nazionale è il
prerequisito di referenza indispensabile ad ogni opportunità di vendita
all’estero”. Cioè: ne dobbiamo comprare tanti non perché
servono all’Esercito, ma per poter lanciare il prodotto sul mercato
internazionale. In sostanza lo Stato si mette al servizio dell’industria
militare nazionale, prima assumendosi il rischio d’impresa tramite il
finanziamento di tutta la fase di progettazione, sviluppo e
realizzazione dei veicoli prototipali pre-serie, poi garantendo tramite
grosse commesse il finanziamento della fase di industrializzazione e
produzione su vasta scala, infine agendo come procuratore di commesse
estere. Per la Difesa è il “sistema paese” all’opera. Per l’Unione
europea potrebbe essere l’ennesimo sussidio statale e l’ennesima
violazione italiana della direttiva europea sul procurement miliare (la
n. 81 del 2009) che vieta commesse senza gara.
Per il presidente Eisenhower sarebbe stato un classico esempio di come
funzione il “complesso politico-militar-industriale”. Lo stesso accade per l’altro programma, riguardante l’acquisto di 3 prototipi di elicotteri da combattimento
armati di missili, razzi da 70 millimetri e cannoni da 20 millimetri
(“elicotteri da esplorazione e scorta” nel rassicurante gergo usato
dalla Difesa) prodotti da Leonardo Elicotteri, ex AgustaWestland (Finmeccanica) al costo di 487 milioni di euro spalmati du dieci anni, tutti a carico del Ministero dello Sviluppo Economico. Il prezzo unitario di questi velivoli è elevatissimo: 162 milioni
di euro l’uno, compresi tutti i costi, da quelli di progettazione a
quelli del futuro supporto logistico a carico dei tecnici di Leonardo.
Se le cifre rimarranno queste, l’intero programma di acquisizione (che
dovrebbe riguardare 48 macchine) costerà quasi 8 miliardi di euro.
Questi elicotteri sono destinati a rimpiazzare gli AW-129 Mangusta
attualmente operativi (gli ultimi entrati in servizio nel 2002):
macchine micidiali finora usate solo in guerra e in piccolissimi numeri
(4 sono stati schierati in Afghanistan e altrettanti lo sono ora in
Iraq).
Anche in questo caso, sulle esigenze operative prevale la logica commerciale. Nel documento della Difesa all’esame del Parlamento si legge: “Lo
sviluppo del nuovo velivolo collocherebbe l’industria nazionale in
posizione di vantaggio sul mercato internazionale in una finestra
temporale nell’ambito della quale potrebbero essere concretizzate ottime
opportunità di collaborazione e/o vendita”. Poi viene citato,
come esempio virtuoso, il caso dell’AW-129 Mangusta “sulla base della
quale è stata sviluppata una versione per l’estero che è stata
acquistata dalla Turchia”. Turchia che ora utilizza gli elicotteri
italiani per bombardare i curdi.
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