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mercoledì 7 ottobre 2015

MSF GRAZIE A RIFONDAZIONE COMUNISTA

 Riportiamo l'intervista di Stefano Galieni con il grazie del Presidente di MSF indirizzato a PRC ed al segretario Paolo Ferrero


Loris De Filippi, oggi Presidente di Medici Senza Frontiere in Italia è una persona nota a chi segue da noi tanto le tematiche internazionali quanto alcune questioni di disagio in Italia. Più di 11 anni fa denunciava la violenza degli allora Cpt (oggi Cie) per migranti e poi le condizioni di sfruttamento nei campi, sempre dei lavoratori immigrati, soprattutto nel Meridione. Impegnato direttamente in numerose aree di crisi, da Haiti all’Indonesia dello Tsunami, alla Siria alla Repubblica Centrafricana, oggi coordina un po’ tutte le attività dell’organizzazione premiata con il Nobel per la Pace nel 1999. Lo raggiungo che è ancora sconvolto e indignato per il criminale bombardamento effettuato da mezzi della Nato sull’ospedale afgano di Kunduz e che è costato la vita a 22 persone, numerosi i feriti, praticamente distrutto il complesso ospedaliero. E ovviamente è di questo ma non solo che vuole parlare.
«Il danno è stato enorme. Non solo i morti e i feriti ma si è cancellata l’esistenza dell’unico ospedale traumatologico del nord dell’Afghanistan, del solo ospedale a Kunduz in grado di fare interventi chirurgici. Parliamo di una città di 300 mila abitanti, grande come Bologna. In queste settimane di guerra era invaso da feriti tanto che il 1 ottobre avevamo diramato un comunicato per parlarne. Quando è iniziato il bombardamento c’erano 185 persone, di questi 40 bambini di cui 3 erano in terapia intensiva. Sono morti tutti e 3. E poi si è distrutta ogni risposta sanitaria, il direttore dell’ospedale, medici, infermieri, tecnici, anche i guardiani e i farmacisti. Irreparabile».
Il governo di Kabul ha dichiarato all’inizio che ospitavate talebani
«Quando arrivano feriti non domandiamo con chi stanno. Potevano esserci anche talebani ma erano feriti e disarmati perché negli ospedali non entrano armi e noi curiamo ovunque le persone a prescindere dal loro ruolo».
Lo definirebbe un attacco casuale?
«Mi è già capitato di utilizzare una parola forte e di dire che era premeditato. Riflettendoci a mente fredda come si potrebbe definire un attacco che dura per più di mezz’ora condotto con Hercules AC130 (detto fortezza volante), hanno bombardato più volte pur conoscendo il nostro Gps, e potendo vedere bene che si trattava di una grande struttura sanitaria, peraltro conosciuta da tutti. Noi vogliamo capire per dare un giudizio sereno ma ci è difficile credere nell’errore. Si era anche in una fase cruciale del conflitto per il controllo della città, era in atto uno scontro forte fra governativi e talebani. Di fatto la violazione della Convenzione di Ginevra è inequivocabile, si tratta di un crimine di guerra vigliacco. Per noi il 3 ottobre resterà un sabato nero. Quando ci è giunta la notizia stavamo celebrando un altro 3 ottobre orrendo, quello di Lampedusa, molti di noi erano a Ferrara per ricordare quell’altro massacro».
Avete deciso di lasciare Kunduz ma restate in Afghanistan?
«Restiamo nel sud del Paese, a Lashkar Gah e Kabul ma torneremo a Kunduz non appena sarà possibile. Dobbiamo rimettere in piedi la struttura ma torneremo. Abbiamo stretto un patto con quella gente, con i civili che vivono in quella situazione assurda da quando abbiamo deciso di “esportare la democrazia”. Torneremo ma i nostri operatori e le persone che curiamo debbono essere messe in sicurezza».
Quale è stata la reazione dei civili?
«Al momento è ancora difficile da capire. C’è il coprifuoco nella zona e non abbiamo in questo momento interlocutori. Ma per tutti, anche per i talebani, si tratta di un fatto molto grave. Ora non abbiamo basi, solo un patto da mantenere».
E fuori dall’Afghanistan?
«La società civile e tante organizzazioni sono state commoventi. Ci hanno dato aiuto e ci spingono ancora di più a voler andare a fondo per conoscere le responsabilità. Nel mondo si dice che stavolta gli americani se la sono presa con il nemico sbagliato. Questo ci convince ancora di più dell’importanza di avere una Commissione Internazionale Indipendente che valuti l’accaduto. Lo dobbiamo alle 22 vittime, alle loro famiglie e non ci accontenteremo di indagini unilaterali. In Italia anche c’è stata forte attenzione, a cominciare da Emergency che si è fatta carico dei nostri feriti fino a tante piccole associazioni e singoli che hanno voluto mostrarci solidarietà. C’è un risveglio da noi provocato anche da altri fattori, che ci fa ben sperare. Con questo attacco non hanno colpito Msf, ma tutti e non si può parlare di errore o, come si è detto all’inizio di “danni collaterali”. Ripeto ci sono 22 famiglie che oggi sono a terra e anche per loro va combattuta una battaglia di civiltà».
Sono mancate le istituzioni
«Lo dico con franchezza. Non ho avuto il tempo di andarmi a cercare tweet e comunicati stampa con accuratezza ma mi sembra che dal governo italiano non sia giunto nulla. Non dico per Msf ma neanche il cordoglio per le vittime da parte di Renzi e del ministro Pinotti. Il silenzio».
Tra l’altro, ed è un paradosso, operazioni come quella su Konduz, aumentano l’instabilità e costringono le persone a fuggire. Col risultato che poi in Europa giungono altri profughi
«Si è il primo dei paradossi, ma ce ne sono altri, altrettanto drammatici e grotteschi. Ce ne stiamo accorgendo con la campagna Milionidipassi (http://milionidipassi.medicisenzafrontiere.it/) con cui stiamo affrontando la questione. Da mesi, anche nel centro destra, sta passando la logica per cui si capisce l’importanza di dare protezione ai cittadini siriani – ed è giusto sia chiaro – ma si dimentica di cosa accade a chi esce da 14 anni di guerra mai terminata e da decenni di disordini violenti. Quelli che arrivano dall’Afghanistan cosa sono ora? Si tratta di transumanze umane importantissime ma costoro, come chi proviene da altri paesi, saranno discriminati in quanto non siriani. Noi sempre in Afghanistan nel 2004 abbiamo perso 5 colleghi, condividiamo con gli afghani la tragedia, l’abbiamo condivisa fisicamente, capiamo sulla nostra pelle di cosa si tratti. Nella mia città Udine ce li siamo trovati sulle panchine, senza un minimo di accoglienza dignitosa. E c’è chi tranquillamente parla di rispedirli al loro paese perché lì la guerra è finita».
Intanto Msf continua ad operare in molte aree di conflitto
«Si abbiamo ripreso ad operare nella Repubblica Centrafricana, dove la situazione peggiora e in Yemen. Due posti di cui si parla poco. Ma stiamo anche attuando una riflessione per come aiutare il desk che segue l’Afghanistan, rafforzandolo. Stiamo richiamando del personale in un continuo dialogo fra Kabul e Bruxelles. E poi prosegue, almeno fino al 31 dicembre il lavoro di salvataggio con la task force che opera in Italia, Grecia e area balcanica. In pratica gran parte del Mediterraneo, Macedonia, Serbia e Croazia».
Siete fra i pochi che continuano i soccorsi in mare
«Si con la nave principale, la Bourbon Argos, e poi con la Dignity I e la My Phoenix, in collaborazione con un privato, MOAS. Ma vediamo il rischio di istituzionalizzazione del nostro operato. Anche su questo stiamo ragionando. Non vorremmo finire con l’essere rassicurati da un Ministero dell’Interno che ci dice di non aver più bisogno di noi e poi venire a sapere di altri naufragi e altre vittime. Vogliamo essere certi che non solo verranno impiegati fondi e messe a disposizioni capacità ma essere certi che ci saranno vie sicure e legali per entrare in Europa. Altrimenti ci sentiremmo colpevoli per ogni ulteriore vittima».
Ci sarà ancora molto lavoro da fare allora temo
«Si e lo faremo. Ma vorrei concludere aggiungendo un ringraziamento. Nel silenzio di molti abbiamo assai apprezzato il sostegno che ci è giunto da Paolo Ferrero e dal vostro partito. Lo avete fatto immediatamente e in maniera limpida. Avete interpretato il sentimento di molti italiani che vogliono partire con le nostre missioni in Afghanistan. Uno dei nostri, italiano, era appena tornato prima della strage. Speriamo che anche altri si facciano sentire come voi, per fare quello che non ha fatto il governo. Un governo che non ha trovato il tempo per assumere una posizione. Questo invece fa molto male».
Stefano Galieni

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