Pubblichiamo un'approfondita analisi di Andrea Vento sulla conferenza di Bonn COP23 ,incontro annuale sull'andamento climatico organizzata dall' ONU
Dal 7 al 17 novembre a Bonn, presieduta dalle isole Fiji, si è tenuta la Cop 23 (la 23esima Conferenza annuale sul clima organizzata dall’Onu) nel cui ambito, i rappresentanti di 195 paesi più l’Ue, si sono riuniti al principale scopo di trovare strategie di applicazione concreta degli Accordi di Parigi, raggiunti alla Cop 21 del 2015, in tema di riduzione dei gas climalteranti
Accordi storici che, a seguito dei proclami enfatici dei leaders mondiali, avevano suscitato grandi speranze per il contenimento del gravoso problema del surriscaldamento globale. Il ‘clima’ fiducioso è però ben presto svanito dopo le analisi degli ecologisti sul testo conclusivo dal quale sono invece emerse significative criticità, in primis: la mancata istituzione sia di ‘un Comitato di Controllo del rispetto delle disposizioni’ che di un ‘meccanismo sanzionatorio’ per chi non rispetti gli impegni sottoscritti. In pratica si tratta di accordi giuridicamente non vincolanti il cui rispetto è riposto nella sensibilità ambientale dei governi e nella loro determinazione politica nel trasformarla in atti concreti.
La Conferenza di Bonn che si è dunque
aperta con queste premesse e col dichiarato scopo di accelerare sulla
strada dell’implementazione degli Accordi di Parigi e di fissare più
stringenti regole, dopo due settimane di incontri serrati si è conclusa
senza alcuna decisione importante, tant’è che si svolgerà una sorta di
sessionesuppletiva della Conferenza nel mese di
dicembre a Parigi. Un fallimento in parte annunciato e confermato
dall’assenza dei principali leaders mondiali, ad eccezione di A. Merkel e
di M. Macron, e del grande circo mediatico internazionale che ha, salvo
alcune eccezioni, disertato, e quindi oscurato al grande pubblico,
l’evento.
Quattro tuttavia risultano, seppur di basso profilo, i risultati conseguiti degni di nota:
- Approvazione di un piano d’azione per la parità dei sessi: il Gender action plain. Sicuramente apprezzabile ma del quale non si comprende la stretta attinenza col contenimento del riscaldamento globale.
- Riconoscimento del ruolo dei “Popoli Nativi” nella lotta al cambiamento climatico, nella conservazione della bio-diversità e nella salvaguardia dell’ambiente. Viene ufficialmente preso atto che i popoli autoctoni non saranno più un ostacolo, bensì una risorsa nella lotta al riscaldamento globale.
- Attivazione del gruppo di lavoro sulla sicurezza alimentare e sull’agricoltura. Dopo sei anni di evanescenti trattative, alla Cop23 è stato riconosciuto che il cambiamento climatico aggrava l’insicurezza alimentare delle popolazioni più fragili e, contemporaneamente, che le pratiche agricole correnti (agro-industriali) incidono sulle emissioni di gas serra per circa il 21% del totale, imponendo un radicale ripensamento del settore dell’agrobusiness, in modo da ridurne le emissioni.
- ‘Sorpasso’ effettuato da parte delle
realtà locali (regioni, città, comuni, comunità indigene, ecc), alle
rappresentanze ufficiali degli Stati. Emblematico è il caso della
California che, nonostante le decisioni di Trump di uscire dagli Accordi
di Parigi, ha annunciato a Bonn per bocca del suo governatore Jerry
Brown il rispetto degli impegni da parte del proprio stato.
Tutto il resto un’empasse totale. In pratica non sono state assunte significative decisioni in merito:
- al meccanismo di risarcimento dei danni e delle perdite (Loss and Damage),
- al finanziamento delle misure di compensazione per indurre i Paesi in via di Sviluppo a ridurre le emissioni,
- alla trasparenza dei finanziamenti da concedere per la realizzazione delle misure di mitigazione ed adattamento.
Le responsabilità del fallimento sono
principalmente riconducibili agli egoismi nazionali dei paesi più
sviluppati i quali, nonostante i proclami di voler comunque andare
avanti a prescindere dalle posizioni di Trump, si sono distinti per le
assenze o per dichiarazioni ‘fumose’ come quelle della Cancelliera
tedesca che dopo aver affermato che: “Quella del clima è una sfida
centrale per il mondo, una questione di destino dell’umanità” ha poi
ripiegato su un più prudente: “La chiusura delle centrali a carbone
(ancora in numero rilevante in Germania[1])
sono un problema sociale e che va affrontato con calma”, rinviando, a
imprecisati più idonei tempi, la decarbonizzazione energetica tedesca.
Il fallimento dei lavori della
Conferenza è riassunto nel documento conclusivo dal quale emerge la
richiesta al segretario Onu Antonio Guterres di preoccuparsi della reale
messa in pratica delle azioni da parte degli Stati membri:
dall’effettivo svolgimento dei compiti assegnati alla distribuzione
trasparente dei finanziamenti.
Lo stato attuale dell’atmosfera
Mentre a Bonn andava in scena la rituale commedia delle parti all’insegna dell’immobilismo i report in materia ddi recente realizzazione da parte di vari Istituti di ricerca, fotografano una situazione in allarmante evoluzione sia per quanto riguarda la composizione chimica dell’atmosfera che per le condizioni meteo-climatiche globali.
In base al report diffuso
dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) a fine ottobre la
concentrazione di Co2, principale gas serra, in atmosfera si sarebbe
ormai stabilizzata oltre le 400 parti per milione, avendo raggiunto
quota 403 a fine 2016, con un aumento di 3 punti rispetto all’anno
precedente. In pratica un netto e strutturale sforamento della soglia di
sicurezza fissata a quota 350 oltre la quale le possibilità di
riduzione diventano estremamente più complesse. Infatti anche se
riuscissimo fin da oggi ad abbattere totalmente le emissioni inquinanti,
la concentrazione di Co2 in atmosfera continuerebbe ad aumentare per
alcuni decenni, a causa dell’inerzia del fenomeno, rendendo problematico
il rientro sotto tale soglia. Questa particolarità, tipica dei sistemi
complessi, è confermata dal rapporto annuale della NEAA (Agenzia per la
valutazione ambientale olandese) dal quale risulta che nel 2016, per il
terzo anno consecutivo, le emissioni globali di Co2 sono risultate
invariate senza tuttavia riuscire a contenerne l’aumento della
concentrazione in atmosfera.
La presenza di Co2 nell’atmosfera ha
subito un forte incremento rispetto all’era pre-industriale (1750)
registrando ad oggi una crescita del 145% con una brusca impennata
nell’ultimo mezzo secolo, durante il quale è salita di ben 80 punti,
passando da circa 320 agli attuali 403 ppm. Una crescita inarrestabile
che rischia di vanificare, se non affrontata drasticamente, gli
obiettivi fissati agli Accordi di Parigi: contenere l’aumento della
temperatura media terrestre non oltre i 2gradi centigradi (possibilmente
1,5) rispetto al periodo preindustriale, entro la fine del secolo. Se
consideriamo che in base allo stesso report del WMO la temperatura media
degli oceani e dell’atmosfera è aumentata di ben 1,1° rispetto all’era
pre-industriale e le peculiarità del sistema Terra rispetto al ciclo di
assorbimento della Co2, il quadro da complesso si trasforma in
drammatico: in assenza di interventi concreti finalizzati
all’abbattimento delle emissioni globali non solo gli obiettivi di
Parigi sono praticamente dietro l’angolo ma, in base alle previsioni
degli scienziati saremmo proiettati verso una crescita della temperatura
media terrestre compresa fra i 3 ed i 5°, con catastrofiche conseguenze
climatiche sulle produzioni agricole e sulla vita delle persone
Riscaldamento globale e cambiamenti climatici
E dal fronte delle rilevazioni dei
valori climatici che giungono allarmanti conferme rispetto alle
previsioni: in base al report emesso dall’Organizzazione Meteorologica
Mondiale alle soglie della Cop23 emerge in modo allarmante come “con
ogni probabilità il 2017 sarà uno dei tre anni più caldi di sempre” e
non fa che confermare il trend di inesorabile riscaldamento già
statisticamente rilevato: 16 dei 17 anni più caldi dall’inizio delle
rilevazioni meteorologiche siano stati quelli del nuovo millennio[2], oltre al 1983.
I dati diffusi dalle varie
Organizzazioni e Istituti di ricerca si riferiscono ovviamente al
sistema Terra nel suo complesso, senza prendere in considerazioni le
implicazioni locali dei fenomeni in atto che purtroppo talvolta
presentano i suoi aspetti più drammatici in termini di anomalie
meteorologiche con conseguenti devastanti effetti ai danni dell’ambiente
e delle persone. In numerose regioni terrestri infatti negli ultimi
anni è stato riscontrato un sensibile incremento degli eventi climatici
estremi quali uragani e inondazioni catastrofiche, bombe d’acqua e
piogge torrentizie, ondate di calore e di siccità da record,
scioglimento delle calotte polari e innalzamento del livello degli
oceani.
Secondo i dati WMO il periodo
gennaio-settembre 2017 ha avuto una temperatura media globale di circa
1,1°C al di sopra del livello pre-industriale con varie zone dell’Europa
meridionale, come l’Italia, il Nord Africa, parte dell’Africa orientale
e meridionale oltre alla Russia asiatica e alla Cina hanno raggiunto
temperature massime senza precedenti. Gli Stati Uniti nordoccidentali e
il Canada occidentale, al contrario, hanno registrato temperature più
basse rispetto alla media del trentennio 1981-2010.
Ottobre: tra i più secchi degli ultimi 100 anni
Ottobre chiude con un record
preoccupante: quello di essere stato tra i mesi di ottobre più secchi
degli ultimi cento anni in molte città toscane. Ha piovuto pochissimo,
solo il 5% delle piogge attese in questo mese; un dato che risulta
ancora più pesante se inquadrato nel contesto della lunga siccità dei
mesi scorsi, fatta eccezione per settembre.
Questi dati fanno di ottobre 2017 il più secco degli ultimi cento anni in particolare nelle città di Pistoia, Prato, Pisa e Livorno.
Risulta il secondo più secco a Grosseto, Firenze, Arezzo e
Massa-Carrara; “solo” il terzo più secco a Siena e Lucca. Nei 10
capoluoghi mediamente si sono avuti 7 giorni piovosi in meno.
Nessun respiro per la carenza idrica
che ormai da mesi interessa la Toscana con gravi conseguenze sul
comparto agricolo. Peraltro il periodo ottobre – dicembre è molto
importante per la ricarica delle falde e l’assenza di precipitazioni
risulta quindi ancora più pesante. Come invertire la rotta..?
Il riscaldamento globale ed i
cambiamenti climatici accompagnati da un preoccupante aumento dei
fenomeni climatici estremi non risulta quindi una mera questione
accademica ma un preoccupante fenomeno che tocca la vita dei comuni
cittadini a partire dai danni subiti a seguito degli eventi
catastrofici, per finire all’impatto sulle produzioni agricole che
stanno subendo drammatiche riduzioni con nefaste conseguenze,
principalmente sulla vita dei contadini del Sud del mondo che in misura
maggiore sono costretti ad abbandonare le loro terre ormai inaridite per
cercare una speranza di sopravvivenza altrove. Il fenomeno delle
migrazioni forzate per cause climatico/ambientali è in drammatica ascesa
tant’è che nel 2016 ha subito un ulteriore incremento arrivando a
toccare la preoccupante cifra di 23 milioni e mezzo di persone e al
quale l’Onu e le Convenzioni internazionali, in particolare quella di
Ginevra, dovrebbero finalmente riconoscere lo status ufficiale di
“Profughi climatici” e garantirne la possibilità di richiesta di asilo
politico a chi cerca rifugio all’estero.
Personalmente ritengo gli Accordi di Parigi un passo avanti verso la
lotta al surriscaldamento globale ma che reputo ancora insufficiente sia
per il suo carattere non vincolante che per la mancanza di resoconti da
presentare sull’operato dei paesi. In pratica tutto è demandato alla
volontà politica degli stati che come è oramai accertato si scontra con
enormi interessi economici, in primis quelli delle multinazionali del
settore energetico e automobilistico.
La situazione si va facendo sempre più
drammatica ed i tempi di intervento sempre più ristretti per cui
l’attendismo dei leaders mondiale non trova più alcuna giustificazione.
Occorre agire in fretta e con interventi incisivi tesi a superare il
modello di sviluppo attuale basato sul perseguimento infinito della
crescita e sulla dipendenza dalle fonti fossili[3]
e introdurre nuove forme produttive basate sull’economia circolare,
sull’agroecologia, sulla decarbonizzazione e sulla transizione
energetica verso le rinnovabili. Agire ora, subito, senza tentennamenti
prima che sia troppo tardi e l’alterazione del sistema Terra risulti
irreversibile. Perché non sono solo in gioco le sorti dell’ambiente e
del pianeta bensì quelle dell’intera umanità.
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