Il blog quipadernodugnano riporta l'interessante documento emanato ai primi di agosto da una minoranza PD che dissente dall'attuale linea per il SI intrapresa dalla maggioranza del partito.
Gianfranco Massetti autore del post ne riporta alcuni punti fondamentali:
1) le priorità in agenda.
È nostra convinzione che le riforme costituzionali, pur necessarie,
non rappresentino la priorità in agenda. Di più: che da gran tempo è
invalsa l’abitudine – una sorta di alibi per la classe politica – di
imputare alla Costituzione la responsabilità di insufficienze che semmai
vanno intestate alla politica e all’amministrazione; nonché di spostare
tutta l’attenzione dall’esigenza di dare attuazione a principi e
diritti scolpiti nella Carta alla ingegneria costituzionale in una sorta
di frenesia riformatrice; 2) legittimazione o, meglio, autorevolezza di
questo parlamento. Conosciamo la sentenza n. 1 del 2014 che autorizza
l’operatività del parlamento ancorché eletto con il Porcellum dichiarato
incostituzionale dalla Consulta. Ma una cosa è la sua operatività
ordinaria, altra cosa è la riscrittura di ben 47 articoli della
Costituzione, un ridisegno della sua seconda parte (per altro già
rinnovata in taluni suoi articoli), per il quale si richiederebbero ben
altra autorevolezza e forse un più esplicito mandato da parte degli
elettori. Abbiamo la memoria corta: dopo l’esito delle elezioni
politiche del 2013, dalle quali non è sortita una maggioranza, era
opinione unanime che si dovesse dare vita a un governo istituzionale che
portasse entro un anno a nuove elezioni, non a governi o a una
legislatura costituenti; 3) metodo. È profilo cruciale. Le revisioni
costituzionali sono materia parlamentare per eccellenza. Nel nostro
caso, l’intero processo è stato ideato, gestito, votato dal governo, per
altro facendo appello a motivazioni giuste ma francamente incongrue
rispetto alla portata della riforma quali la riduzione dei costi. Un
protagonismo esorbitante e improprio del governo, non privo di gravi
conseguenze. Tra le quali quella di non giovare al fine di raccogliere
una maggioranza larga, quale si conviene alla riscrittura della Legge
fondamentale della Repubblica; quella inoltre di smentire il solenne
impegno a non ripetere l’errore del passato di riforme varate da una
stretta maggioranza di governo; quella infine di porre l’ennesimo,
insidioso precedente foriero di altri futuri strappi da parte di
maggioranze politiche contingenti, in un tempo che ci suggerisce di non
escludere, per il futuro, governi dal segno illiberale. E ancora: quella
di porre le premesse per un referendum costituzionale il cui oggetto
slitta dal quesito di merito
formale al quesito implicito sul sì o no al governo, dunque un
plebiscito. Anche a motivo della non omogeneità dell’oggetto, come
prescrive la giurisprudenza costituzionale e, prima ancora, l’art. 138
la cui “ratio” chiaramente sottintende revisioni mirate e puntuali; 4)
il merito. In estrema sintesi, la nostra opinione è che la riforma non
riesca a perseguire gli obiettivi dichiarati: di semplificazione e di
conferimento di efficienza e di efficacia al sistema istituzionale. Più
specificamente, essa disegna un bicameralismo confuso – va da sé che
siamo favorevoli al superamento del bicameralismo paritario – nel quale
il Senato, privo per altro di adeguata autorevolezza e
rappresentatività, rischia semmai di costituire un ulteriore ostacolo al
processo decisionale (davvero si pensa che il problema sia quello di
fare più celermente nuove leggi, anziché quello di farne meno e di
scriverle meglio?); un procedimento legislativo farraginoso e foriero di
conflitti; un Senato la cui estrazione locale mal si concilia con le
rilevanti competenze europee e internazionali affidategli; una
esorbitante ricentralizzazione nel rapporto Stato-regioni che revoca il
principio/valore delle autonomie ex art. 5 della Carta (paradossalmente
ignorando l’esigenza di ripensare le regioni ad autonomia speciale); una
complessiva alterazione degli equilibri, delle garanzie e dei
bilanciamenti di cui si nutre il costituzionalismo tutto a vantaggio del
governo, un vantaggio ulteriormente avvalorato dall’Italicum; il
conferimento ai futuri consiglieri regionali e sindaci senatori
dell’istituto dell’immunità sino a oggi riservato ai soli rappresentanti
della nazione in senso proprio;
5) elettività dei senatori. Nell’ultimo e decisivo passaggio della
riforma al Senato la questione più dibattuta fu quella della sua
elettività, motivata in ragione delle competenze ad esso assegnate –
dalle leggi di revisione costituzionale alla materia comunitaria sino
alla ratifica dei trattati internazionali – che palesemente
presuppongono senatori eletti direttamente dai cittadini in quanto fonte
della sovranità nazionale. Ne è sortita una elaborata mediazione sul
testo che di fatto rinvia la questione a una legge elettorale (del
Senato) ordinaria di attuazione. Sul punto, vi fu l’intesa di fare
precedere il referendum costituzionale da un impegnativo atto politico
se non dalla messa a punto di una bozza di tale legge attuativa, della
quale non si ha più notizia. Rilasciando così nell’incertezza la
cruciale questione della elettività dei senatori;
6) infine una ragione politica, che riguarda il PD e, più complessivamente, l’evoluzione del sistema politico.
I firmatari che voteranno NO al Referendum sono:Paolo Corsini, Nerina Dirindin, Luigi Manconi, Claudio Micheloni,
Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiutti, Walter Tocci, Luisa Bossa,
Angelo Capodicasa, Franco Monaco
A questo punto sorge spontaneo domandarsi se anche in quel di Paderno Dugnano, ovvero nell'attuale PD esista una minoranza a favore del NO .....
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