Riportiamo l'intervista di Stefano Galieni con il grazie del Presidente di MSF indirizzato a PRC ed al segretario Paolo Ferrero
Loris De Filippi, oggi Presidente di Medici Senza Frontiere in Italia
è una persona nota a chi segue da noi tanto le tematiche internazionali
quanto alcune questioni di disagio in Italia. Più di 11 anni fa
denunciava la violenza degli allora Cpt (oggi Cie) per migranti e poi le
condizioni di sfruttamento nei campi, sempre dei lavoratori immigrati,
soprattutto nel Meridione. Impegnato direttamente in numerose aree di
crisi, da Haiti all’Indonesia dello Tsunami, alla Siria alla Repubblica
Centrafricana, oggi coordina un po’ tutte le attività
dell’organizzazione premiata con il Nobel per la Pace nel 1999. Lo
raggiungo che è ancora sconvolto e indignato per il criminale
bombardamento effettuato da mezzi della Nato sull’ospedale afgano di
Kunduz e che è costato la vita a 22 persone, numerosi i feriti,
praticamente distrutto il complesso ospedaliero. E ovviamente è di
questo ma non solo che vuole parlare.
«Il danno è stato enorme. Non solo i morti e i feriti ma si è
cancellata l’esistenza dell’unico ospedale traumatologico del nord
dell’Afghanistan, del solo ospedale a Kunduz in grado di fare interventi
chirurgici. Parliamo di una città di 300 mila abitanti, grande come
Bologna. In queste settimane di guerra era invaso da feriti tanto che il
1 ottobre avevamo diramato un comunicato per parlarne. Quando è
iniziato il bombardamento c’erano 185 persone, di questi 40 bambini di
cui 3 erano in terapia intensiva. Sono morti tutti e 3. E poi si è
distrutta ogni risposta sanitaria, il direttore dell’ospedale, medici,
infermieri, tecnici, anche i guardiani e i farmacisti. Irreparabile».
Il governo di Kabul ha dichiarato all’inizio che ospitavate talebani
«Quando arrivano feriti non domandiamo con chi stanno. Potevano
esserci anche talebani ma erano feriti e disarmati perché negli ospedali
non entrano armi e noi curiamo ovunque le persone a prescindere dal
loro ruolo».
Lo definirebbe un attacco casuale?
«Mi è già capitato di utilizzare una parola forte e di dire che era
premeditato. Riflettendoci a mente fredda come si potrebbe definire un
attacco che dura per più di mezz’ora condotto con Hercules AC130 (detto
fortezza volante), hanno bombardato più volte pur conoscendo il nostro
Gps, e potendo vedere bene che si trattava di una grande struttura
sanitaria, peraltro conosciuta da tutti. Noi vogliamo capire per dare un
giudizio sereno ma ci è difficile credere nell’errore. Si era anche in
una fase cruciale del conflitto per il controllo della città, era in
atto uno scontro forte fra governativi e talebani. Di fatto la
violazione della Convenzione di Ginevra è inequivocabile, si tratta di
un crimine di guerra vigliacco. Per noi il 3 ottobre resterà un sabato
nero. Quando ci è giunta la notizia stavamo celebrando un altro 3
ottobre orrendo, quello di Lampedusa, molti di noi erano a Ferrara per
ricordare quell’altro massacro».
Avete deciso di lasciare Kunduz ma restate in Afghanistan?
«Restiamo nel sud del Paese, a Lashkar Gah e Kabul ma torneremo a
Kunduz non appena sarà possibile. Dobbiamo rimettere in piedi la
struttura ma torneremo. Abbiamo stretto un patto con quella gente, con i
civili che vivono in quella situazione assurda da quando abbiamo deciso
di “esportare la democrazia”. Torneremo ma i nostri operatori e le
persone che curiamo debbono essere messe in sicurezza».
Quale è stata la reazione dei civili?
«Al momento è ancora difficile da capire. C’è il coprifuoco nella
zona e non abbiamo in questo momento interlocutori. Ma per tutti, anche
per i talebani, si tratta di un fatto molto grave. Ora non abbiamo basi,
solo un patto da mantenere».
E fuori dall’Afghanistan?
«La società civile e tante organizzazioni sono state commoventi. Ci
hanno dato aiuto e ci spingono ancora di più a voler andare a fondo per
conoscere le responsabilità. Nel mondo si dice che stavolta gli
americani se la sono presa con il nemico sbagliato. Questo ci convince
ancora di più dell’importanza di avere una Commissione Internazionale
Indipendente che valuti l’accaduto. Lo dobbiamo alle 22 vittime, alle
loro famiglie e non ci accontenteremo di indagini unilaterali. In Italia
anche c’è stata forte attenzione, a cominciare da Emergency che si è
fatta carico dei nostri feriti fino a tante piccole associazioni e
singoli che hanno voluto mostrarci solidarietà. C’è un risveglio da noi
provocato anche da altri fattori, che ci fa ben sperare. Con questo
attacco non hanno colpito Msf, ma tutti e non si può parlare di errore
o, come si è detto all’inizio di “danni collaterali”. Ripeto ci sono 22
famiglie che oggi sono a terra e anche per loro va combattuta una
battaglia di civiltà».
Sono mancate le istituzioni
«Lo dico con franchezza. Non ho avuto il tempo di andarmi a cercare
tweet e comunicati stampa con accuratezza ma mi sembra che dal governo
italiano non sia giunto nulla. Non dico per Msf ma neanche il cordoglio
per le vittime da parte di Renzi e del ministro Pinotti. Il silenzio».
Tra l’altro, ed è un paradosso, operazioni come quella su Konduz,
aumentano l’instabilità e costringono le persone a fuggire. Col
risultato che poi in Europa giungono altri profughi
«Si è il primo dei paradossi, ma ce ne sono altri, altrettanto
drammatici e grotteschi. Ce ne stiamo accorgendo con la campagna
Milionidipassi (http://milionidipassi.medicisenzafrontiere.it/)
con cui stiamo affrontando la questione. Da mesi, anche nel centro
destra, sta passando la logica per cui si capisce l’importanza di dare
protezione ai cittadini siriani – ed è giusto sia chiaro – ma si
dimentica di cosa accade a chi esce da 14 anni di guerra mai terminata e
da decenni di disordini violenti. Quelli che arrivano dall’Afghanistan
cosa sono ora? Si tratta di transumanze umane importantissime ma
costoro, come chi proviene da altri paesi, saranno discriminati in
quanto non siriani. Noi sempre in Afghanistan nel 2004 abbiamo perso 5
colleghi, condividiamo con gli afghani la tragedia, l’abbiamo condivisa
fisicamente, capiamo sulla nostra pelle di cosa si tratti. Nella mia
città Udine ce li siamo trovati sulle panchine, senza un minimo di
accoglienza dignitosa. E c’è chi tranquillamente parla di rispedirli al
loro paese perché lì la guerra è finita».
Intanto Msf continua ad operare in molte aree di conflitto
«Si abbiamo ripreso ad operare nella Repubblica Centrafricana, dove
la situazione peggiora e in Yemen. Due posti di cui si parla poco. Ma
stiamo anche attuando una riflessione per come aiutare il desk che segue
l’Afghanistan, rafforzandolo. Stiamo richiamando del personale in un
continuo dialogo fra Kabul e Bruxelles. E poi prosegue, almeno fino al
31 dicembre il lavoro di salvataggio con la task force che opera in
Italia, Grecia e area balcanica. In pratica gran parte del Mediterraneo,
Macedonia, Serbia e Croazia».
Siete fra i pochi che continuano i soccorsi in mare
«Si con la nave principale, la Bourbon Argos, e poi con la Dignity I e
la My Phoenix, in collaborazione con un privato, MOAS. Ma vediamo il
rischio di istituzionalizzazione del nostro operato. Anche su questo
stiamo ragionando. Non vorremmo finire con l’essere rassicurati da un
Ministero dell’Interno che ci dice di non aver più bisogno di noi e poi
venire a sapere di altri naufragi e altre vittime. Vogliamo essere certi
che non solo verranno impiegati fondi e messe a disposizioni capacità
ma essere certi che ci saranno vie sicure e legali per entrare in
Europa. Altrimenti ci sentiremmo colpevoli per ogni ulteriore vittima».
Ci sarà ancora molto lavoro da fare allora temo
«Si e lo faremo. Ma vorrei concludere aggiungendo un ringraziamento.
Nel silenzio di molti abbiamo assai apprezzato il sostegno che ci è
giunto da Paolo Ferrero e dal vostro partito. Lo avete fatto
immediatamente e in maniera limpida. Avete interpretato il sentimento di
molti italiani che vogliono partire con le nostre missioni in
Afghanistan. Uno dei nostri, italiano, era appena tornato prima della
strage. Speriamo che anche altri si facciano sentire come voi, per fare
quello che non ha fatto il governo. Un governo che non ha trovato il
tempo per assumere una posizione. Questo invece fa molto male».
Stefano Galieni
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